Febbre da gioco: a Trieste slot in 582 locali
C’è un caso limite, emblematico: un usuraio cita in giudizio un giocatore d’azzardo patologico. Gli voleva “piazzare”, il giocatore, un falso bollettino di vincita al Lotto ricostruito al computer. Peccato che al momento della riscossione la truffa sia venuta fuori. Il vero che si confonde nel non-vero. Ed è lì, nel mondo delle illusioni, chi vive con il gioco d’azzardo. Slot machine, videopoker, Gratta e vinci, Lotto, casinò (reali e virtuali): il 4% degli italiani è ammalato di ludopatia, nella nostra regione - come nel Veneto - il 37% degli studenti dai 15 ai 19 anni è un patito del gioco d’azzardo. A Trieste ci sono 582 pubblici esercizi con slot e altre diavolerie, si parla di una spesa pro capite che per il Friuli Venezia Giulia si attesta sui 990 euro annui (1,2 miliardi). Nel 2012 (dato nazionale) si calcola che ogni italiano - neonati inclusi - abbia buttato via in media 1300 euro l’anno per un giro d’affari di 100 miliardi. Il 4% del Pil, il più grande mercato ludico d’Europa.
Nella nostra città la risposta all’«azzardopatia» è - accanto al Dipartimento delle dipendenze dell’Azienda sanitaria - l’associazione di volontariato Assodigiada. Ma è una piaga di cui si discute anche in prefettura. Alessandro Carbone è il presidente dell’Associazione da circa un anno. «Il primo problema è la diffusione capillare. Un tempo c’era chi faceva follie per l’ippica, chi giocava al Lotto o al Totocalcio. Da quanto tempo è che facciamo passare il messaggio che sia normale ciò che normale non è, ciò che può portare alla patologia? La diffusione e la semplicità di accesso su Internet, in modo legale e non, è un altro dato inconfutabile. E lo Stato che fa? Incassa le tasse e anzi, addirittura le riduce ai concessionari. E ora si arriva al paradosso che i costi sociali siano talmente aumentati da aver quasi azzerato i guadagni».
Una perdita mica da poco: quel fiume di denaro sprecato non crea reddito e nemmeno occupazione, non c’è alcuna spesa virtuosa di reimpiego della ricchezza prodotta. Il denaro non gira: per mangiare, per viaggiare, per acquistare. Cento miliardi gettati al vento. Per ingrassare, spesso, la criminalità organizzata, che impone - non a Trieste, ma al Sud, o in Lombardia e in Veneto - i concessionari, le macchinette, arriva ad acquistare i bar. E nei bar del nostro Meridione c’è sempre lì, pronto, l’usuraio, il “finanziatore”. Eppure anche a Trieste sono davvero pochi i bar, i pubblici esercizi, i tabaccai, che ne fanno a meno. «In un anno, un gruppo di 5-6 macchinette in un bar dell’Altipiano ha fruttato all’esercente un guadagno di 700-800 mila euro. Capisce? E pazienza se a giocare ci si mettono pure i minori: chiudi un occhio e ti paghi le spese. Non tutti lo fanno, certo, ma non abbiamo armi in cambio: che fai tu, Comune, Regione, abbassi al bar la Tarsu o l’Irap? Non c’è competitività finanziaria».
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Se la politica ha le armi spuntate, non che la legge dia una grossa mano. «Spesso chi gioca commette reati come furti, rapine, truffe, appropriazione indebita, falsificazione di assegni. Ma la ludopatia non è un’attenuante, non viene considerata l’incapacità di intendere e di volere. Se va bene, qualche tribunale di sorveglianza concede, al posto del carcere, l’affidamento in prova ai servizi sociali con l’obbligo terapeutico e di seguire un programma di reinserimento». Se poi finisci nelle mani di un usuraio non c’è scampo, «e se ti rivolgi a una finanziaria per ottenere un credito, come fai a chiedere l’annullamento del contratto, come dimostri che quella stessa finanziaria sapeva della tua patologia?». E allora? «E allora, ad esempio, in Slovenia puoi presentare un’autocertificazione in cui si chiede l’esclusione dai casinò per due anni. Una cosa simile esiste pure in Austria. Peccato che poi, è capitato a un mio cliente, ti chiamino sul cellulare decine e decine di volte invitandoti a sospendere quella carta e a “tornare con loro”...». Quasi fossero amici, «la tua famiglia».
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