Fatture mediche gonfiate deve rifondere 39mila euro
Visite dentistiche finte a pazienti veri. Prezzo, 39mila euro. È questa la cifra che il dottor David Vergna, già medico odontoiatra convenzionato con il sistema sanitario nazionale, dovrà pagare all’Azienda per i servizi sanitari numero 1 Triestina.
La sezione giurisdizionale della Corte dei conti presideduta da Paolo Simeon e composta da Giancarlo di Lecce e Alberto Rigoni ha condannato Vergna a versare quei 39mila euro che la sanità pubblica (ovvero la Regione) gli ha corrisposto per gli anni dal 2006 al 2008 anche se lui non ne aveva il diritto. I giudici hanno accolto in toto la richiesta del procuratore contabile Maurizio Zappatori.
In pratica dalle indagini dell’istruttoria è emerso che Vergna aveva gonfiato le fatture emesse dal suo studio di via dei Leo (ora passato a un altro professionista che è completamente estraneo alla vicenda), indicando nella richiesta di rimborso all'Azienda sanitaria prestazioni diverse e più costose di quelle in realtà effettuate. Un controllo incrociato tra i pazienti - o meglio le cure loro prestate - e quanto scritto sul documento contabile ha fatto emergere lo sbilancio. In particolare si è capito che il trucco era quello delle cosiddette prime visite ripetute. Un trucco che aveva reso al dentista la somma di 39mila euro.
L’inchiesta era scattata nel novembre del 2009 dopo un controllo dei carabinieri del Nas nell’ambulatorio convenzionato. Il meccanismo per l’ottenimento dei rimborsi prevedeva la presentazione di una richiesta mensile da parte del dottor Vergna con l’indicazione dei codici riferiti alle prestazioni effettuate. Era emerso che il professionista sistematicamente codificava in modo non corretto le prestazioni tipiche. Per esempio il “molaggio” dei denti va applicato a seduta in modo tale che al medico venga rimborsato l’importo per una singola visita. Invece il dottor Vergna - questo è emerso dalle indagini - applicava il codice per ogni dente sul quale veniva effettuata la molatura. Lo stesso sistema poi veniva adottato per le gengivoplastiche. Tant’è che molti pazienti interrogati come testimoni dai carabinieri del Nas non ricordavano nemmeno il tipo di prestazione alla quale erano stati sottoposti. È risultato anche che tra il 2006 e il 2008 la totalità delle estrazioni dentarie effettuate da Vergna sono state codificate come complesse, quando in realtà in molti casi non lo erano. Infine, le indagini hanno evidenziato che il dentista faceva firmare ai pazienti dei moduli in bianco con date non regolari. Uno ha anche sostenuto di non essere mai entrato nell’ambulatorio.
Ma i guai per il dottor Vergna non sono finiti con la condanna a pagare i 39mila euro. Il prossimo 27 marzo il dentista comparirà anche davanti al giudice monocratico. Era stato rinviato a giudizio, su richiesta del pm Federico Frezza, per l’accusa di truffa al Servizio sanitario nazionale. L’indagine penale ha preceduto di pochi mesi quella parallela della Procura contabile. Le fonti di prova che hanno portato i giudici della Corte dei conti a condannare il dottor David Vergna sono infatti sostanzialmente le stesse di quelle utilizzate dal pm Federico Frezza per chiedere e ottenere il giudizio del professionista che si è fatto rimborsare i soldi dall’Azienda sanitaria senza averne il diritto.
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