Faraguna: «Al Burlo troppe ottusità gestionali»

Il medico, che si è dimesso a giugno, difende l’eccellenza pediatrica ma senza fare nomi parla di «livelli di arroganza e incompetenza vergognosi»
Silvano Trieste 06/07/2010 Conferenza stampa presentazione nuovo staff direzione Istituto Burlo Garofolo
Silvano Trieste 06/07/2010 Conferenza stampa presentazione nuovo staff direzione Istituto Burlo Garofolo

Difende i medici appassionati, giovani, veloci, e la qualità della pediatria al Burlo Garofolo. Disprezza le ottusità gestionali, «riescono a raggiungere livelli di arroganza e incompetenza senza alcuna vergogna». Dino Faraguna, pediatra al Burlo, poi a capo del dipartimento Materno-infantile a Gorizia-Monfalcone, ha lasciato con giugno il posto di direttore sanitario all’ospedale pediatrico. A sorpresa, e con reticenza.

Perché la fuga dal Burlo?

Ho scelto di non dirlo e dunque, mi scusi, non lo faccio.

Ha avuto un peso il fatto di non avere specializzazioni in Igiene, richieste per il ruolo?

No, non ha mai riguardato in alcun modo il mio incarico.

Pregi e criticità al Burlo?

Il centro dell’attività pediatrica è la Scuola di specializzazione in pediatria: l’eccellenza ruota attorno ai giovani, virtuosa eccezione nell’università italiana, legata all’intuizione dei “padri” Nordio e Panizon, caratteristica che si è mantenuta: medici che studiano con entusiasmo, recepiscono e mettono in pratica le novità con prontezza e competenza. Su questo versante il Burlo ha garantito competenze anche a livello internazionale. E può continuare a farlo, soprattutto se anche la buona Scuola di ostetricia e ginecologia saprà garantire la stessa eccellenza. Cosa che oggi non è. La massima criticità però è la tutela politica. Il Burlo è sentito dalla politica regionale come una struttura di Trieste, ma opera per tutta la regione e oltre. Deve avere la “tutela” anche di Udine e Pordenone. Deve essere sfruttato di più dalla regione.

Vero che ci sono attese anche di un anno e mezzo per gli interventi ginecologici?

In questo momento purtroppo sì. Ma solo per gli interventi di elezione, non urgenti.

Avete però perso un bravo chirurgo, Francesco Fanfani.

Fanfani è un medico giovane, e veramente straordinario. Oggi è in aspettativa perché richiesto dal Policlinico Gemelli di Roma. Non solo il Burlo, ma questa regione dovrebbe fare l’impossibile, “carte false” direi, per rendergli appetibile il lavoro a Trieste. E l’Università anche di più. Ha solo 40 anni, un grande curriculum scientifico, enormi capacità chirurgiche e di interazione umana. È il migliore. Questa nell’Università italiana di oggi è una colpa: “bravo, ma troppo giovane”. Si privilegia ancora la cooptazione generazionale. Qui si diventa professori tardi. Se chirurghi, quando si dovrebbe smettere di operare. E invece si appena comincia. Non è normale.

Vero che avete tanto poco finanziamento da non poter fare opere indispensabili?

Problema che riguarda tutti. Il Burlo ha risorse umane e scientifiche che potrebbero attrarre ancora di più finanziamenti privati e per la ricerca.

Che cosa pensa della recente nomina nel Consiglio di indirizzo di un politico Pdl di professione commerciante, Marcello Di Caterina?

Potrebbe essere un volano per l’acquisizione di fondi privati da dedicare alla ricerca.

Perché il Burlo sembra ostile a raccontarsi in pubblico?

Non mi sento coinvolto in questo giudizio. E dal punto di vista scientifico tutti sono incoraggiati a raccontare i propri risultati ai congressi. Approccio forse un po’ tecnico, e da migliorare.

Lei ha lavorato in area clinica a contatto coi pazienti, e in area gestionale. Che impressione ha delle due esperienze?

Nell'area clinica la cultura media e la dedizione al lavoro sono evidenti, ognuno sa perchè è là e cosa deve fare. Nell’area gestionale accanto a professionisti di grande spessore e cultura, convivono persone impresentabili che non sono abituate a un metodo di lavoro né a un confronto con il paziente o la sua famiglia. Neanche allo sportello. Non sopravviverebbero 2 secondi con un paziente di fronte, o con qualche cosa di reale da fare, per questo riescono a raggiungere livelli di arroganza e incompetenza senza alcuna vergogna. Come diceva un mio zio (il giornalista e scrittore Mariano Faraguna, ndr): “No i sa niente, no i capissi niente, no ghe interessa niente!". Ma sono la minoranza e soprattutto immediatamente identificabili: non hanno l'anima.

Per questo se ne è andato?

Continuo a non dirlo. Ma insomma c’è qualcuno che pensa, perfino onestamente, che “la delibera” sia il prodotto in un ospedale. Dovrebbe sapere che invece è solo la cura del paziente. Al Burlo su 750 dipendenti ci sono 90 amministrativi, per quanto i compiti siano molti, troppe energie vanno in questo campo. Panizon li chiamava “i cavalieri neri” e diceva: “Se uno non si occupa del contesto è scemo, ma se non sa curare il malato è disonesto”. Sante parole.

Lei crede che la riforma sanitaria regionale, che dovrebbe ridurre le Pediatrie in Fvg, rafforzerà il ruolo del Burlo?

L’area materno-infantile ha ancora un’organizzazione ferma a 30 anni fa. Intanto tutto è cambiato, dalle malattie alle cure, la malattia acuta è raramente un evento di interesse ospedaliero. Ma abbiamo 11 punti nascita, 10 pediatrie ospedaliere e 125 pediatri convenzionati. Lavorano tutti con una buona interazione. Ma con uno spreco di risorse altrettanto evidente.

Gorizia insorge contro la chiusura del punto nascita. Ha fino in fondo tutti i torti?

Il rapporto tra volumi di attività e risultati clinici emerge da studi che hanno impegnato ricercatori di grande calibro su milioni (ripeto: milioni!) di pazienti: meno di 1000 nati non garantiscono i migliori risultati per mamme e neonati, né il miglior utilizzo delle risorse. Gorizia ha numeri così piccoli (200-300 nati) che per avere un risultato statistico tangibile dovremmo aspettare decenni per capire che cosa accade. Ma un avvento avverso è tale per ogni singolo individuo. E se conosciamo i rischi, è nostro obbligo intervenire. Senza dire che poi i nati negli ospedali “di rete” come Gorizia, se stanno male, vengono trasferiti altrove. E l’esito, buono o cattivo che sia, avviene nelle sede dove sono trasferiti...

E l’identità anagrafica? Non essere nati nella propria città?

Credo sia un reperto del passato. Già oggi due nati su tre in regione nascono in un Comune diverso da quello di residenza. Figurarsi i neonati di oggi. Spero vorranno appartenere a entità di maggiore respiro culturale e anagrafico: Europa, mondo intero.

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