Falò e giacigli nella melma: così i profughi “invisibili” stanno ripopolando il Silos
TRIESTE Fogli di giornale, del cartone, e qualche pezzo di legno trovato nei cantieri vicini. Alle quattro del pomeriggio è già ora di accendere il fuoco, anche se l’inverno triestino, con la bora scura che taglia le gambe, non ha ancora mostrato la sua vera faccia.
Forse non lo sa questo gruppo di siriani, stretto attorno al falò, che le capanne non reggeranno le raffiche di vento. Hanno trovato riparo nel vecchio e malconcio Silos da qualche giorno. In un angolo ci sono loro, in quello opposto i pachistani. Chi in piedi, chi seduto. Le fiamme si alzano lentamente tra le grandi arcate e i bimbi – già anche i bimbi – le rincorrono con gli occhi fino al soffitto. Per loro, forse, è un gioco. Per gli adulti è la sopravvivenza: scaldarsi.
E mangiare, dormire. Altro non c’è da fare in questo villaggio fantasma, nel cuore di Trieste, accanto alla Stazione ferroviaria. Una città nella città, tornata a ripopolarsi di umanità in fuga anche quando il centro inizia a colorarsi di luci e comete di Natale. A pochi passi.
A cosa assomiglia il Silos? A una discarica. Cumuli di spazzatura, avanzi di cibo maleodorante. Escrementi.
I migranti vivono qua dentro, stipati in capanne che stanno in piedi per miracolo. Alcune sono incenerite. Date alle fiamme, forse, o bruciate accidentalmente dai falò accesi di pomeriggio e di sera.
Dentro le baracche, nel fango, i profughi hanno sistemato i loro giacigli. Materassi, coperte, sacchi a pelo. E - appesi attorno - maglie, pantaloni e calzini.
Contiamo una ventina di migranti in tutto. Ma qui di notte ne bivaccano certamente di più, a vedere la quantità di scarpe disseminata sul terriccio. Sono siriani, con bimbi al seguito, afghani e pachistani.
Un gruppo ha ricavato un riparo facendo un buco nel muro. Proviamo a entrare scavalcando i mattoni.
Buio, buio pesto. Un ragazzo afghano, sui venticinque anni, ci fa strada. Facciamo luce con la torcia del cellulare. Per terra si scorgono altri materassi e sacchi a pelo. Dalla quantità di scarpe e di abiti sparsi per terra, qui deve vivere almeno un’altra decina di persone.
Polvere, sporco. Altri avanzi ci cibo e spazzatura. Usciamo. I piedi affondano nella melma. Altre capanne sventate.
Presto arriverà il grande freddo. E sarà emergenza. Chi arriva, come il gruppo di siriani, non sa che c’è un posto – la mensa Caritas di via dell’Istria – in cui è possibile mangiare gratuitamente. Annotiamo l’indirizzo su un pezzo di carta. Loro ringraziano con un sorriso.
Hanno i volti stanchi, sfiniti. Le mani annerite dalla fuliggine. Il gruppo di siriani non intende fermarsi molto a Trieste: è di passaggio e probabilmente ripartirà tra qualche giorno. Ma il Silos tornerà nuovamente a popolarsi di migranti. Siriani, pachistani, iracheni. Altra umanità disposta a stare in mezzo alla spazzatura. Non c’è amministrazione – che sia di sinistra o di destra – che riesca a fronteggiare il problema. Hanno provato in tutti i modi a chiudere l’edificio per impedire che ci entrino persone. Ma invano. Il bisogno di un riparo pur che sia, tanto più in inverno, non si ferma davanti a un’inferriata. E gli sgomberi durano il tempo di qualche settimana. Fintanto che il Silos resterà abbandonato, i migranti ritorneranno ad affollarlo.
Lo scorso marzo era in programma la discussione del progetto di riqualificazione della struttura. Un progetto del 2003. Avrebbero dovuto partecipare la proprietà – la Silos spa – e gli altri enti locali, tra cui Comune e Regione, che nel 2009 avevano firmato l’accordo di programma per riconvertire l’edificio. L’idea era investire 120 milioni di euro per trasformare l’enorme capannone in un centro commerciale con annesse sale congressi, area fitness e quant’altro. Ma la conferenza dei servizi alla fine non è mai stata fatta. La maggioranza delle quote della società proprietaria dell’immobile è in mano a Coop Alleanza 3.0 e Unieco (in liquidazione). L’iter amministrativo sarebbe agli sgoccioli, dopodiché sarà possibile procedere con la conferenza dei servizi. Ma, a quanto è dato sapere, mancano ancora dei documenti per il progetto.
E la città fantasma, con le sue baracche e i falò, è sempre qua. —
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