Fabec: «Così si promuove il prodotto Carso. Adesso portiamoci anche un po’ di cultura»
«Sapersi evolvere». È una sorta di formula magica, certamente una strategia, la frase che emerge più spesso chiacchierando di osmize con Franc Fabec, presidente della Kmecka Zveza – associazione di supporto agli agricoltori - e proprietario lui stesso di una famosa osmiza a Malchina. Per Fabec, sapersi evolvere, rappresenta il discrimine tra l’affossamento della tradizione e la sua valorizzazione in termini di crescita e sviluppo per il territorio, per l’attrazione di turisti e, non ultimo, per preservare la memoria del passato sapendone trarre gli insegnamenti migliori. Le osmize sono il simbolo del Carso, di un territorio aspro e bellissimo, luminoso e ostico, strappato alla natura inospitale da mani forti e dal raziocinio di persone che con dedizione lo hanno reso fertile.
«Se oggi possiamo dire con soddisfazione di aver raggiunto con le osmize meritati e giusti obiettivi di popolarità – è il parere di Fabec – lo dobbiamo proprio a chi ha saputo adattarsi alla richiesta con misura e intraprendenza. Ciò che ha fatto certamente la differenza sono le regole». Certo, perché la proclamata e, ovviamente, invidiata, indipendenza e libertà da lacciuoli burocratici di queste osterie del Carso non è propriamente tale. «Anche le osmize devono seguire delle regole – dice Fabec –, precetti che variano da Comune a Comune e ci impongono un disciplinare che, da un lato limita la nostra libertà di mescita e di servizio, dall’altro però tutela i nostri ospiti che proprio grazie a questa rigidità sono sicuri di trovare prodotti locali fatti con ogni tipo di garanzia». Ad esempio, se nel territorio di Trieste non è possibile imporre ai gestori la vendita di salumi derivati da maiali di produzione propria (non ci sarebbe lo spazio) e quindi le maglie sul reperimento di prosciutti o salami sono più allentate, non è così per il Carso dove chi possiede un’osmiza e vende i propri prodotti deve esibire tutti i certificati di macellazione e provenienza degli animali. Del resto, la storia e l’evoluzione delle Osmize è un’esemplare interpretazione dello sviluppo economico dal Dopoguerra a oggi.
«Fino agli anni Novanta – aggiunge Franc Fabec – le osmize non avevano lo stesso appeal di oggi. I gestori compravano i salumi nei supermercati e il vino non era certo paragonabile alle produzioni attuali. Il motivo è semplice: si stava solamente reiterando un’abitudine vecchia e alterata, quando le osmize erano sorte per permettere ai contadini, che erano davvero poveri, e per questo esentasse, di sostentarsi vendendo ciò che avevano, vale a dire uova e vino. Nel Dopoguerra – continua Fabec – quando le persone cominciavano a esplorare il Carso con le prime auto o i mezzi pubblici, l’offerta era rimasta quella, ma gli avventori in gita, che certo non mangiavano solo uova, si portavano la mortadella o il prosciutto da casa. È a questo punto che qualcuno ha avuto l’intuizione di offrire di più, solo che all’inizio, senza regole e controlli, si davano prodotti comprati». Da poco, in effetti, il “prodotto Carso” si sta facendo conoscere come eccellenza naturalistica e come esperienza gastronomica. Visto che il prodotto si vende bene, c’è quindi da aspettarsi un’ulteriore evoluzione, sperando che si indirizzi nel solco della tradizione. «Il naturale e prossimo passaggio di qualità per le osmize – sostiene il presidente della Kmecka Zveza -, sarà divenire luoghi di cultura, dove l’ospite si reca per vivere esperienze, oltre che per bere e mangiare bene». Nella sua osmiza di Malchina, Fabec è stato un antesignano. Ex professore di storia convertito alla vita contadina, ora Fabec allestisce mostre (la prossima sarà di disegni dei bambini della scuola materna di Malchina) e organizza piccoli concerti, tenendo però ben presente anche il ruolo sociale dell’Osmiza, «dove al mattino non è raro trovare la gente del posto che beve un bicchiere di vino, gioca a carte e commenta e fatti del giorno». A proposito di evoluzione, «il numero delle osmize negli ultimi anni è cresciuto moltissimo – afferma Fabec -, basti pensare che solo a Malchina ce ne sono 6. Per noi è stato naturale accordarci sulle aperture e, poi, farci pubblicità, auto tassarci per renderci visibili, ad esempio producendo una t-shirt dedicata al nostro borgo». Benvenuto un moderato progresso quindi, che non apra la strada a osmize leziose o stilose: sul ruvido Carso sarebbero proprio stonate. —
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