Ezit “appeso” a un debito di 9,2 milioni

Maxi cartella esattoriale in scadenza a novembre. Rischio pignoramenti. I vertici confidano in un emendamento del governo
Una delle aree del comprensorio Ezit
Una delle aree del comprensorio Ezit

TRIESTE Entro la fine di novembre Ezit dovrà venire a capo di una corposa cartella esattoriale da circa 9 milioni 200 mila euro, frutto di una vicenda di italianissimo conio che si trascina, a seconda di dove si situi il punto di partenza, dal 1977 o dal 1981 o dal 1985. Ma, aldilà della straordinaria lunghezza del viaggio compiuto da questa pesante gabella fiscale, adesso il problema è come saltarci fuori. L’attuale presidente Stefano Zuban, sul quale d’un tratto è colata la trentennale rogna, spera ardentemente in un mano legislativa romana, che faccia chiarezza normativa sul guazzabuglio, tracciando una riga sulla mazzata tributaria che rischierebbe di mettere a repentaglio la funzionalità dell’ente. Come? Con un emendamento inserito nella legge di Stabilità.

A rendere indifferibile una soluzione - riepiloga Zuban - è la decisione assunta dalla Commissione tributaria provinciale di Trieste che, a differenza di quanto solitamente avveniva in passato, lo scorso gennaio non ha concesso la consueta sospensiva alla pluridecennale pratica. Zuban era insediato di fresco alla guida dell’ente e da lì a poco il suo primo bilancio sarebbe stato fermato dalla Regione, che chiedeva chiarezza sulla ingombrante posta tributaria. E così il preventivo 2015 dovette essere ricalibrato con l’iscrizione di circa un milione “pro-quota” riferito al contenzioso.

Senza la sospensiva - ragguaglia ancora Zuban - la cartella esattoriale diventa titolo esecutivo, con la prospettiva che la gabella raddoppi a oltre 18 milioni. E l’Ezit dove trova tutti quei soldi per saldare il conto con l’Agenzia delle entrate? Equitalia potrebbe pignorare i beni per l’ammontare dovuto. Così, prima che scatti la tagliola fiscale, Zuban spera nel soccorso romano.

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Come e perchè è montato un conto così pesante? A partire dalla seconda metà degli anni ’70 l’allora Ufficio distrettuale delle imposte dirette, oggi Agenzia delle entrate, contestò all’Ezit il mancato pagamento delle tasse sulle plusvalenze derivanti dalla vendita di terreni e fabbricati. Ezit si difese ricordando le ragioni della sua stessa nascita, che ne fanno un unicum nazionale: infatti fu l’Ordine 66/1953, emanato dal Governo militare alleato, a creare l’ente, equiparandolo a un organo statale, e fu l’art. 23 del medesimo Ordine 66 a disporre l’esenzione da qualsiasi imposta. Ezit sorse per infrastrutturare e cedere a prezzi calmierati terreni industriali nell’esangue Trieste del secondo dopoguerra, ricevette a tale fine le aree dal Gma, le sistemò negli anni a seguire utilizzando contributi pubblici: come si fa - fu l’eterna obiezione dei vertici Ezit di qualsiasi colore essi fossero - a stimare il valore iniziale di questi beni e, di conseguenza, la plusvalenza ottenuta nella vendita?

Non solo: quando viene “integrato” nel sistema istituzionale italiano con il provvedimento “omnibus” del commissario governativo Giovanni Palamara, Ezit è considerato ente pubblico “non economico” e soggetto alle regole della contabilità pubblica, che rendono di fatto impossibile documentare le spese sostenute per attrezzare ogni terreno venduto.

Ma l’amministrazione tributaria non si è data per vinta e il caotico faldone è rimbalzato non solo una decina di volte all’attenzione della Commissione regionale con esito altalenante, ma è finito anche avanti la Cassazione che, a sua volta, ha rinviato il dossier alla stessa Commissione regionale per un esame nel merito. Precisando però che l’art. 42 del Dpr 601/1973 aveva abrogato ogni agevolazione presistente. Le cause non sono state riassunte da Ezit e dall’Amministrazione finanziaria, così alla fine l’Agenzia delle entrate ha iscritto a ruolo le imposte accertate per alcuni anni, gravate da sanzioni e interessi, che cubano a circa 9,2 milioni. Gli anni sono il 1981, 1982, 1999, 2000, 2001, 2002.

Già, si chiede Zuban, ma se l’Agenzia procedesse con nuovi avvisi di accertamento riguardanti altre annate? Quei sei anni “indagati” sarebbero solo la punta dell’iceberg. Dal buco alla voragine.

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