“Exploit Vitovska”: nuovi terreni per ospitare i vigneti
TRIESTE. Mancano spazi per la viticoltura, che pure sta dando delle belle soddisfazioni al territorio. Eppure c’è stato un periodo in cui Trieste era completamente circondata dalle vigne, da Roiano a Rozzol e poi giù giù fino al mare, e in Carso si faceva agricoltura. Nel 1700, non nell’Età del rame. Poi arrivò il Porto Franco e la città iniziò gradualmente a mangiarsi i filari mentre sull’Altipiano continuavano a coltivare generi tradizionali e a pascolare animali.
Un tanto per dire che i vini di nicchia, i giovani leoni di Prepotto e dintorni, la riscoperta della vitovska (rigorosamente con l’accento sulla “i”) e poi del prosecco sono fenomeni relativamente recenti. E c’è voluto il convegno organizzato all’Hotel Savoia collateralmente alla rassegna “Mare e Vitovska”, per la prima volta nel sempre spettacolare Salone degli Incanti, per esprimere in pubblico quelli che sono da anni i nervi scoperti dei vignaioli carsolini.
Impossibilitati a crescere non per problemi di mercato ma di ordinaria burocrazia. Strangolati dai limiti europei delle zone protette. Frustrati nella loro volontà di fare sparire, rendendoli coltivabili, almeno i boschetti “finti”. Una volta tanto, però, e va detto, trovatisi di fronte a un singolare allineamento dei pianeti che, dal Ministero dell’agricoltura, passando per la Provincia, il Comune, la Regione, l’Ispettorato agricoltura e foreste, sembra pronto non solo ad ascoltare le lamentele ma ad operare per superarle.
Il vicepresidente e assessore regionale alle Attivitità produttive Bolzonello ha detto in cinque minuti quello che il suo impalpabile e friulanocentrico predecessore non aveva detto in cinque anni: «È vero che esiste un ambiente protetto che può frenare il comparto ma è anche vero che tra persone rispettose il dibattito si può aprire da subito. A maggior ragione in una zona di qualità e di eccellenze straordinarie come questa».
Un “la” che non è caduto nel vuoto. Dopo un’articolata relazione dello storico Fulvio Colombo, che ha fatto scoprire probabilmente anche alla gran parte dei presenti aspetti del territorio e della sua tradizione vinaria sconosciuti, dal “Pucino” in avanti, c’è stato l’annunciato “coup de theatre” dell’incontro, atteso dal patron della manifestazione, Edi Kante, con una certa trepidazione. Ed è toccato ad Aldo Cavani, direttore generale dell’Ispettorato agricoltura e foreste di Trieste e Gorizia ,illustrare tecnicamente i contenuti di uno studio, tuttora in essere, sui terreni provinciali recuperabili all’agricoltura. Al momento, ha detto, senza andare contro alcuna normativa, almeno 5.700 ettari della categoria E3-E6, dei quali un migliaio è stato già liberato dai vincoli. «Serve - ha detto Cavani - un tavolo tra le parti interessate, e serve subito. Per individuare le zone, concordare gli ambiti, attuare un percorso facilitato per i coltivatori». Dai banchi solo consensi, dal sindaco Cosolini che evidenzia il grande impatto del turismo enogastronomico e l’importanza del “matrimonio” città-territorio, alla presidente Poropat, avvinta dalla qualità del prodotto e dalla possibilità di imparare finalmente ai giovani a bere ragionato, passando per l’esponente governativo Stefano Vaccari, informatissimo sulle realtà locali. «All’estero strabuzzano gli occhi - ha detto - quando spiegano che esistono da noi realtà vinicole che operano su 6-7 ettari. Ma ci sarà pure un motivo per cui siamo il primo Paese esportatore al mondo...».
Edi Kante, quasi emozionato, di suo ha aggiunto la “ferita” ancora aperta della questione Prosecco («Ci basta mantengano quanto promesso») ma anche la motivazione che guida i coltivatori del Carso sulla via della piena affermazione. «Abbiamo scelto Trieste e questa sala - ha detto - anche per dare una dimensione internazionale alla nostra rassegna e ai nostri prodotti. Ora vogliamo esportarla a Monaco e a Vienna». Una promessa più che una minaccia.
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