Ex Jugoslavia, vecchi odi e nuovi sogni d’Europa
TRIESTE I Balcani oggi. Quali differenze con il passato recente? Quali elementi di novità? Questa penisola così travagliata, che offre incredibili spazi per il pensiero e per i viaggi, accoglie la nostra delegazione (vedi articolo qui a lato, ndr) pronta a percorrere 3.500 chilometri per analizzarne la realtà, rivisitarne la storia, la società, le religioni, le lingue, gli usi, i costumi, l'economia, lo sviluppo, l'arte, la filosofia, la letteratura, l'anima.
Un incontro con Miloš Solaja, docente di relazioni internazionali all’Università di Banja Luka, e i suoi studenti, permette di mettere in luce le difficoltà di un paese che è strutturato con due entità politiche (la Repubblica Serba di Bosnia e la Federazione Croato-Musulmana), tre etnie (serba, croata, bosniaco-musulmana), complicati organi amministrativi e un Alto rappresentante della comunità internazionale, il quale funge sì da arbitro, ma talvolta anche da ufficiale esecutivo dell'amministrazione medesima.
In che modo la Bosnia-Erzegovina può avvicinarsi all'entrata delle grandi organizzazioni internazionali europee ed atlantiche con tali architettura amministrativa? Esiste una pace sociale? No. Le distanze etniche aumentano con il tempo, le sensibilità relative alle identità culturali e religiose pure. Il professor Solaja conclude lasciando trapelare un cauto pessimismo e ricorda che tutti e sei gli ultimi rapporti dell'Unione europea sulla Bosnia-Erzegovina hanno fatto registrare progressi irrilevanti, in relazione al cammino del paese verso l'Ue. La sensazione è che la Bosnia-Erzegovina non sia un paese sovrano bensì un protettorato internazionale, con una costituzione imposta dalla comunità internazionale al momento della firma degli Accordi di Dayton (1995), che chiusero un periodo tragico e denso di massacri, legato al processo di decomposizione della Jugoslavia.
La costituzione dovrebbe essere modificata per adattare la situazione alla realtà presente e per accelerare la triplice transizione del paese, il quale sta proseguendo sia nella transizione politica (da paese a partito unico a paese democratico avente diversi partiti), sia nella transizione economica (da paese avente un'economia esclusivamente pubblica, centralizzata e collettivizzata a paese avente un'economia di mercato con un importante settore privato in regime di concorrenza), sia nella transizione istituzionale (da protettorato della comunità internazionale a paese realmente sovrano).
La figura dell'Alto rappresentante della comunità internazionale, infatti, coadiuvato dal Consiglio per la realizzazione della pace (Peace implementation council, Pic), rappresenta una pesante ingerenza internazionale negli affari interni di un paese che ambisce a una legittima emancipazione politica, un paese che non è né repubblica né monarchia, uno stato anomalo che tuttavia non esercita meno attrazione per la sua bellezza naturale, per le sue colline, per i suoi fiumi che, come tutti i fiumi dei Balcani, producono un effetto dirompente in ogni sensibilità umana. Le prossime elezioni politiche, che avranno luogo l’autunno prossimo, si annunciano particolarmente interessanti.
La casa natale di Ivo Andric, a Travnik, è piccola, accogliente, piena di libri e di oggetti che parlano con l'accento dell'autore de Il Ponte sulla Drina. Il lascito della vita, della personalità e del talento letterario di Ivo Andri„ nella cultura balcanica è immenso. Quell'uomo che studiò anche a Vienna e che servì nel corpo diplomatico del Regno dei Serbi, Croati e Sloveni fino alla caduta del Regno di Jugoslavia, vide tutto e il contrario di tutto, venne rispettato da tutti i regimi, onorato da Tito come lo era stato da Alessandro Karageorgevi„, un uomo che con la propria cultura e la propria moderazione disarmò ogni dissenso per lasciare spazio alla generale ammirazione, una personalità imprescindibile per la conoscenza della cultura balcanica.
Sarajevo, luce d'Europa, fra le sue mille contraddizioni la città emerge nella sua grandezza multiculturale, nella sua consapevole tolleranza diacronica. Nelle parole di Mirko Pejanovic, docente emerito all'università di Sarajevo, riemerge l'amarezza legata all'instabilità del paese e alle divisioni interne fra le etnie. Rievocando i tempi del Bano Kulin, del Re Tvrtko I e dell'intera stirpe dei Kotromani„, fino all'epoca odierna, ricordando le lotte intestine, gli antagonismi religiosi, le ambizioni alla supremazia territoriale, tuttavia, il fondo di delusione per le occasioni perdute lascia spazio, nondimeno, a un filo di speranza per il futuro, legato allo sviluppo dell'Unione Europea.
I sentimenti di sconforto, in seno alla penisola balcanica, riemergono anche in Serbia: l'analisi del professor Dušan Batakovic, membro della prestigiosa Accademia serba delle scienze di Belgrado, è squisitamente storico-politica: la Serbia pagò per tutti, durante il processo di decomposizione della Jugoslavia, perdendo quel ruolo di equilibrio che la storia le aveva conferito nel corso del ventesimo secolo. Colpita nella sua identità culturale e nel suo ruolo politico, la Serbia si avvia a entrare nell'Unione Europea con una popolazione estremamente ridotta dall'esodo della giovane generazione, che trova sbocchi in Canada o in Norvegia o altrove, mentre il paese versa in condizioni economiche molto difficili e rimane mutilato dal colpo di mano internazionale degli ultimi vent'anni nella provincia autonoma del Kosovo e Metohia.
Ma è proprio dal Kosovo e Metohia che riemerge la genuina volontà di vivere delle comunità serbe, di coloro che hanno assistito alla inesorabile riduzione della loro presenza culturale nella terra dei monasteri e delle icone sacre, che costituiscono il fondamento della identità del popolo serbo, degli eredi di Stefano Nemanja, di Dusciano, ed anche di Lazzaro Hrebljanovi„ e di tutti coloro che si sacrificarono consapevolmente, il giorno di San Vito del 1389, avvolti nell'aura del valore, a Kosovo Polje, per ritardare l'invasione dell'impero ottomano e l'islamizzazione della penisola balcanica.
Questa consapevolezza imperitura è presente nelle parole semplici della povera gente che vive a Kosovska Mitrovica o nelle enclaves serbe in Kosovo e Metohia, a Gorazdevac, a Velika Hocac a Pec, a Decani. Il grande e nuovo monumento dedicato a Lazzaro Hrebljanovic, a Kosovska Mitrovica per l'appunto, è un nuovo messaggio moderno a una comunità internazionale occidentale, che pare ancora incapace di comprendere che i diritti dell'uomo, per essere tali, devono essere riconosciuti a tutti, indistintamente, e non solo ad una parte, a quella parte che maggiormente conviene sostenere per soddisfare i propri interessi strategici ed economici.
Invasa da più di un anno dall'ondata di profughi siriani, la penisola balcanica attende che la fine della tormenta della crisi economica e degli attacchi terroristici in occidente spianino la strada alla desiderata integrazione europea, anche se, purtroppo, quella famosa frase di Ivo Andri„ («Fra le diverse religioni le distanze sono talvolta così grandi che solo l'odio ogni tanto riesce a superarle») non sembra ancora completamente superata.
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