Ex Jugoslavia, Mostar in ginocchio invasa dai ratti

Il sindaco si rivolge alla Federazione di Bosnia ed Erzegovina. La lunga impasse politica dietro la paralisi dei servizi pubblici

ZAGABRIA. È una delle più note della Bosnia ed Erzegovina, se non di tutta la penisola balcanica: una città fondata più di cinque secoli fa e inserita nel patrimonio mondiale Unesco da dieci anni. Mostar, costruita attorno al celebre Stari Most, il Ponte vecchio bombardato negli anni Novanta e ricostruito quale simbolo di pace e convivenza. Mostar è però oggi una città alle prese con un’invasione di ratti. «Le vie di Mostar straripano di rifiuti e animali nocivi», riporta il portale regionale d’informazione Birn, al quale un ufficiale della municipalità ha consegnato la richiesta di aiuto che lo stesso sindaco ha inviato al Fondo per l’ambiente della Federazione bosniaco-erzegovina. «Riceviamo ogni giorno lamentele dai cittadini, stiamo cercando un supporto finanziario per rimuovere i ratti da tutto il territorio urbano», scrive il primo cittadino Ljubo Bešlić, che chiede 100mila euro per evitare «un pericolo per la salute e la sicurezza degli abitanti».

Il sindaco sostiene che a causare l’infestazione dei roditori siano stati recenti lavori di costruzione, Birn addita invece la lunga impasse politica che paralizza i servizi pubblici. I circa 110mila abitanti di Mostar sono andati per l’ultima volta alle urne nel 2008, eleggendo proprio Bešlic il cui mandato è scaduto nel 2012, ma che continua a guidare la città in attesa di nuove elezioni. Nel 2010 infatti la Corte costituzionale bosniaca ha dichiarato illegittima la legge elettorale nella parte relativa alla città di Mostar. Da allora i partiti locali (in particolare i due maggiori: l’Hdz croato e l’Sda bosgnacco) non sono riusciti a raggiungere un compromesso per una nuova formula elettorale. E anche la macchina amministrativa della città ne sta risentendo.

Un'altra immagine della città di Mostar
Un'altra immagine della città di Mostar

Come altrove in questo giovane Stato composto da tre “popoli costitutivi” (croati, serbi e bosgnacchi), è la difficoltà nel trovare un accordo sulla rappresentatività delle diverse comunità a rendere inefficace la macchina amministrativa. Come a Mostar, infatti, anche a Sarajevo la politica pena a rispondere alle esigenze dei cittadini, ma qui a livello nazionale invece che comunale. Il governo della Bosnia ed Erzegovina, ora guidata dal premier Denis Zvizdic, si è insediato il 31 marzo 2015, oltre sei mesi dopo lo svolgimento delle elezioni generali, il tempo necessario perché cinque partiti diversi si spartissero i vari dicasteri a disposizione. Sempre a fine marzo, veniva presentato anche il governo di Fadil Novali„ che prendeva le redini della Federazione croato-musulmana (una delle due entità che compongono il paese) e che da allora ha già cambiato composizione. Il Fronte democratico ha infatti lasciato il suo posto all’Unione per un futuro migliore del magnate Fahrudin Radoncic, entrato nella coalizione meno di una settimana fa.

E mentre la battaglia per i posti di potere prosegue nella classe politica bosniaca, l’ordinaria amministrazione delle città lavora a singhiozzo, costringendo i cittadini all’azione. A Mostar, dove l’ultima derattizzazione risale al 2008, un gruppo di abitanti riunitisi attorno all’associazione “Urlo” (Vrisak), ha lanciato una petizione per convincere le autorità locali a reagire. In dieci giorni più di tremila cittadini hanno già sottoscritto il testo.

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