Ex gioielliere ucciso nella villa di Opicina: la nuova pista dell’oro nascosto in casa
TRIESTE Cercavano l’oro nascosto in casa, con molta probabilità. E hanno ucciso. La banda di serbi che la notte del 20 dicembre 2017 ha torturato e soffocato Aldo Carli, l’ex gioielliere di settantacinque anni trovato morto nella sua villetta di via del Refosco a Opicina, non avrebbe fatto irruzione nella residenza del commerciante per un “semplice” regolamento di conti, poi finito in tragedia, come fin qui emerso. Ma forse con un’intenzione ben precisa: rubare i lingotti e i gioielli che Carli custodiva nella sua abitazione.
Il retroscena traspare dalle ricostruzioni su alcuni particolari dell’omicidio, finora inediti, e dai trascorsi della vittima con il suo giro di oro e soldi. Novità che emergono a due settimane dalla prossima udienza del processo di appello che vede imputata la quarantottenne serba Ljubica Kostic, già condannata in primo grado a 12 anni di reclusione. La serba, stando a quanto appurato nell’inchiesta del pm Federico Frezza, era presente quella notte di dicembre al blitz in via del Refosco, si presume con un ruolo da palo. Kostic accompagnava Olivera Petrovic, la donna con cui l’ex commerciante era in affari, ritenuta la mandante del delitto. Ma quella notte c’erano anche e soprattutto altri due connazionali. Due uomini: Dusan Pejcic e Milan Pesic. Probabilmente sono loro gli esecutori materiali dell’omicidio, vista la brutalità con cui il settantacinquenne è stato pestato e seviziato.
Ma perché la banda si è recata lì quella notte, nel silenzio di Opicina? Cosa volevano i criminali dall’ex commerciante? Carli, come accertato dalle indagini, dopo aver chiuso il negozio di via Donadoni gestiva da tempo un traffico di sottobanco con l’estero. Un traffico di oro e gioielli che fruttava: sul suo conto corrente aveva una giacenza media di 770 mila euro. Per il suo commercio il settantacinquenne si serviva della Petrovic, come accennato la “mente” dell’omicidio e tutt’ora latitante. L’oro di Carli, grazie ai contatti di Petrovic, penetrava i canali dell’Est, ma arrivava anche in Turchia.
Quella notte l’ex gioielliere viene assalito mentre si sta preparando per raggiungere Villacco, dove avrebbe dovuto incontrarsi proprio con Petrovic per autorizzarla ad accedere a un conto in Austria. Una trappola. La banda di serbi sorprende l’uomo nel giardino di casa sua, accanto all’auto posteggiata. I criminali lo picchiano fino a tramortirlo. Lo legano. Lo torturano fino a staccargli quasi un orecchio, forse per farsi dire dove tiene quell’oro. Hanno con sé nastro isolante e fascette di plastica, che saranno utilizzate per strangolare la vittima. Poi entrano nell’abitazione mettendola completamente a soqquadro. È evidente che sono a caccia di qualcosa. Ed ecco l’elemento finora sconosciuto: durante i rilievi, gli investigatori hanno trovato un tubo della caldaia completamente divelto dall’impianto. Ma è un tubo “finto”, senza alcuna utilità idraulica. Si suppone che Carli avesse occultato proprio lì dentro parte dei grossi quantitativi di oro di sua proprietà, quello che smerciava: in polvere, in lingotti e in gioielli, si presume. Probabilmente quella notte la banda deve aver trovato ciò che cercava. Anche perché il denaro contante che l’ex commerciante aveva in casa, 15 mila euro, non viene neppure toccato. Era altro, insomma, su cui puntavano i serbi.
«Ci sono dei lati di questa tragedia che in effetti portano a presupporre questo retroscena e che io stesso ho sollevato», spiega l’avvocato Alessandro Cuccagna, il legale di parte civile che tutela la famiglia della vittima nel processo. «Altrimenti che senso aveva, per gli autori dell’omicidio, organizzare tutto questo? Credo poco alla pista del regolamento di conti». Una ricostruzione che l’avvocato Paolo Codiglia, il difensore di Kostic, smentisce: «La mia assistita non è a conoscenza di questi elementi che fanno riferimento a una presunta presenza di oro nella casa. E di questo non risulta nulla nel fascicolo del pm e nulla è emerso a riguardo nel corso del dibattimento. In ogni caso è irrilevante rispetto alla posizione di Kostic».
Il gruppo di serbi, nel blitz, tenta anche di uccidere l’anziana madre del settantacinquenne. La signora è stesa a letto che dorme: uno della banda le schiaccia un cuscino sul volto per soffocarla. E le chiude la bocca con il nastro. Lei si finge morta. Nell’appartamento sopra c’è invece la moglie di Carli: la donna ha sempre sostenuto di non aver sentito nulla.
Il processo di appello a carico di Kostic ha aperto una nuova pagina anche su quei minuti all’interno della casa: la Procura generale, rappresentata da Federico Prato, ha chiesto la trasmissione degli atti in Procura contestando alla banda pure il tentato omicidio dell’anziana madre di Carli. Per Kostic, intanto, la prossima udienza è in programma il 24 aprile. Il processo potrebbe arrivare a sentenza. —
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