Ex convento, il Vaticano si arrabbia

La Santa sede interviene sull’affaire Daila: «Caso di natura ecclesiastica strumentalizzato in chiave politica e demagogica»

di Mauro Manzin

 

TRIESTE

 

La diplomazia vaticana si sa, non ama il chiasso e tantomeno i riflettori dei media. Il caso Daila quindi è stato per le vellutate stanze vaticane una sorta di pugno allo stomaco per il clamore suscitato e lo scomodarsi di tante autorità a riguardo. E pronta è stata la reazione affidata a un comunicato della Sala stampa vaticana. La controversia per l’indennizzo ai Frati benedettini di Praglia (Padova) viene definita una questione «di natura propriamente ecclesiastica». «Dispiace pertanto - si legge nella nota - che sia stata strumentalizzata a fini che cercano di presentarla in chiave politica e demagogica, come se intendesse danneggiare la Croazia, invece, la decisione della Santa Sede mira esclusivamente a ristabilire la giustizia dentro la Chiesa, peraltro con un risarcimento solo parziale». In altre parole: vietato mettere il naso in affari ecclesiali.

 

La controversia che oppone la Santa Sede alla diocesi istriana di Parenzo-Pola, e ora anche allo Stato croato, ha al centro il monastero benedettino di Daila, abbandonato dai religiosi italiani con la cessione della regione alla Jugoslavia nel 1947. In base all’accordo fatto firmare al commissario “ad actum” monsignor Santos Abril y Castellò - dopo che per il solo tempo della firma è stato sospeso il vescovo locale Ivan Milovan - prevede che la diocesi istriana e la parrocchia di Daila attuali devono restituire ai frati benedettini di Praglia beni immobili di rilevante entità e valore e li devono risarcire di quasi sei milioni di euro a titolo d’imposta e spese giudiziarie. Poichè tuttavia la restituzione materiale è ormai difficilmente praticabile, dal momento che negli anni la Chiesa croata ha venduto parte degli immobili in questione (sui terreni, 400 ettari in amena posizione con vista sul mare dovrebbero sorgere anche un campo da golf e un resort turistico), la Santa Sede ha concesso la possibilità di un risarcimento ai religiosi di Praglia di ben 25 milioni di euro.

 

Nel 2006 infatti i benedettini italiani fecero ricorso ai tribunali chiedendo 30 milioni di euro e la Santa Sede per evitare un lungo contenzioso giudiario nel 2008 costituì una Commissione con i cardinali Attilio Nicora, Josip Bozanic, arcivescovo di Zagabria e Urbano Navarrete poi deceduto. Commissione che decise a favore del monastero, formulando un accordo per il pagamento di 6 milioni di euro da parte della diocesi di Parenzo e Pola e la restituzione dei beni.

 

La complessa querelle che ha visto per anni antagonisti i benedettini italiani e la Chiesa croata rinvia alle vicende dei beni nazionalizzati nel dopoguerra dalle autorità jugoslave, che cacciarono i religiosi italiani, rifugiatisi da allora in provincia di Padova. Nel 1999, in base alla normativa sulla denazionalizzazione ed agli accordi con la Chiesa croata, Zagabria aveva assegnato l’estesa tenuta di Daila alla diocesi (ora croata) di Parenzo-Pola. Immediate, dopo la decisione del Papa di esautorare momentaneamente il vescovo, sono state le reazioni degli ambienti curiali croati, secondo i quali i benedettini di Praglia non hanno più alcun diritto su Daila in quanto già risarciti con 1,7 miliardi di lire da Roma, in base al Trattato di Osimo del 1975.

 

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