Evasione fiscale nei locali, in 7 dal giudice

Caduto il riciclaggio, restano i reati tributari ipotizzati dalla Procura per l’ex titolare del Peperino Savarese e gli altri indagati
Lasorte Trieste 14/12/16 - Via Coroneo, Pizzeria Peperino, Carabinieri, GdF
Lasorte Trieste 14/12/16 - Via Coroneo, Pizzeria Peperino, Carabinieri, GdF

TRIESTE. A quasi quattro anni dall’avvio delle prime indagini da parte di Procura e Guardia di Finanza che avevano coinvolto anche Pietro Savarese, all’epoca titolare della pizzeria Peperino di via Coroneo, approda domani davanti al giudice per l’udienza preliminare il filone sull’evasione fiscale.

Un’inchiesta che aveva suscitato scalpore nell’estate 2016: erano scattate perquisizioni che avevano interessato in primis proprio la pizzeria di via Coroneo e la pizzeria Marinato, entrambe gestite da Savarese. Erano stati impegnati i militari del Comando provinciale delle Fiamme gialle con il coordinamento del procuratore Carlo Mastelloni e del sostituto Federico Frezza. Archiviata l’accusa più pesante, quella di riciclaggio, sono rimaste in piedi le ipotesi di reato per presunte violazioni di articoli del Decreto legislativo numero 74 del 2000 che disciplina gli illeciti tributari.

Ora, dunque, tocca all’udienza preliminare per decidere gli eventuali rinvii a giudizio, ma non a Trieste. Il tribunale del riesame del capoluogo giuliano ha infatti accolto l’eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalle difese ordinando la trasmissione degli atti alla Procura di Napoli. Così, sarà proprio davanti al Gup del Tribunale partenopeo che sarà celebrata l’udienza.

Ciò è avvenuto perché avevano sede legale a Napoli le società (operative nel campo della gestione dei locali in varie città italiane) che erano a vario titolo riconducibili - secondo la Procura – agli indagati. Società tra le quali c’era anche la Gidepa, srl collegata all’epoca alla gestione delle pizzerie Peperino. Un’opportuna precisazione: la società che oggi gestisce il ristorante di via Coroneo non è coinvolta nel processo né risulta soggetta a verifiche o accertamenti.

Sette gli indagati attesi domani davanti al Gup, a cominciare da Savarese e dal suo ex socio d’affari, l’avvocato napoletano Nicola Taglialatela, figura chiave della Gidepa. Per Savarese e Taglialatela sono tre le accuse contestate dalla Procura: dichiarazione fraudolenta, omessa dichiarazione, sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte. Presentazione di dichiarazione fraudolenta per il periodo 2014, 2015 e 2016 con imposta evasa quantificata in 226.059 euro sommando le varie società coinvolte.

Omessa presentazione della dichiarazione annuale per il periodo d’imposta 2015 in relazione a un volume d’affari quantificato in oltre un milione di euro, con corrispondente imposta evasa pari a 110.231 euro. Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte riferita al debito erariale di 278.572 euro derivante da precedenti attività ispettive fiscali. Per gli altri indagati le posizioni sono più marginali e viene formulata al massimo una delle tre imputazioni. Tra questi ricorrono persone che avevano ruoli come amministratori o, comunque, svolgevano attività imprenditoriale, come Giuseppe D’Auria, Lorenzo Russo e Adi Sade.

Le difese si preparano a dare battaglia. «Le contestazioni non trovano riscontro in alcun accertamento tributario dell’Agenzia delle Entrate – afferma l’avvocato Raffaele Corrente che difende Savarese, Russo e Sade –. Tutto è frutto dei calcoli della Procura che contesteremo in sede processuale.

Quanto all’accusa di sottrazione, riguarda un debito che risulta essere stato ad oggi interamente pagato tanto che nel frattempo è stata rigettata la richiesta di fallimento della Gidepa perché non vi sono crediti esigibili da parte dell’erario». Confermati i sequestri preventivi: appartamento a Trieste in piazza Venezia (110 mila euro), altri due immobili a Trieste e Rivisondoli e quote di 6 società per un importo complessivo di 228 mila euro.

Risaliva, come detto, all’estate 2016 l’avvio della fase calda dell’indagine. Nell’ambito degli accertamenti era stato sentito anche Pasquale Galasso, pentito camorrista. I successivi approfondimenti avevano poi permesso di escludere l’ipotesi di riciclaggio tanto che la stessa Procura aveva chiesto l’archiviazione. 

 

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