Esuli: «Sì a trattative». Ma resta il disaccordo su indennizzi e soldi
Riaprire un tavolo al governo in cui trattare i problemi irrisolti degli esuli istriani? La proposta della governatrice Debora Serracchiani l’altro giorno al convegno per i 60 anni dell’Unione degli istriani trova tutte le varie anime molto d’accordo sul punto, ma l’accordo poi non c’è sui contenuti della trattativa che a quel tavolo si dovrebbe fare. Il nodo principale sta nel fatto se farsi dare o no i 90 milioni di dollari che Slovenia e Croazia hanno in deposito in ottemperanza al trattato di Osimo, per risarcimento, e in caso affermativo che cosa fare di quei soldi.
Il più netto è l’avvocato Paolo Sardos Albertini, presidente della Lega Nazionale: «Al tavolo va discussa la restituzione quanto meno dei beni ancora in mano pubblica, incassare gli importi di Osimo significa chiudere la questione, precludersi il diritto. Inoltre non è per caso che lo Stato italiano non li ha incassati: c’è un significato morale e politico. Slovenia e Croazia hanno pagato con molto ritardo, e non tutte le rate, quindi il governo italiano non aveva accettato. Per farlo ora bisogna prima chiudere una partita politica e giuridica, altrimenti è come se lo Stato dicesse: “Allora ho avuto torto”. Fu proprio quando il governo non accettò i soldi, dopo il 1991, che fu deciso un tavolo a Roma per trattare le restituzioni. Invece non si è mai aperto».
Renzo de’ Vidovich (Dalmati italiani nel mondo), fiero oppositore della Federazione degli esuli che accusa di aver «contrattato col governo, a insaputa di tutti noi, la nascita di una Fondazione per gestire i soldi, anche quelli di Osimo, lasciandone una parte all’erario italiano», ridacchia al telefono: «Sono sempre più spesso costretto ad apprezzare la gente di sinistra pur avendola politicamente combattuta: il sindaco Cosolini fa cose apprezzabili e la presidente Serracchiani ha fatto ora cosa lodevole. Ma se noi prendiamo i soldi di Osimo è come dire che Slovenia e Croazia non ci devono più niente. Invece ci sono molte cause in corso per la restituzione dei beni. Se anche venissero perse, si può sempre ricorrere alla Corte di Bruxelles. Questi sono i temi di un tavolo col governo, e non da trattare in segreto come fa la Federesuli. È l’Unione degli istriani, con altre associazioni, a dover trattare, di Federesuli non ci fidiamo più».
«Non accettare oggi i soldi è anacronistico, i giochi sono chiusi, gli accordi fatti - dice al contrario Silvio Delbello, già presidente dell’Università popolare -, lasciarli a giacere è comico se non ridicolo. Ma poi c’è la restituzione delle case, e qui ognuno ha una storia diversa. Chi, come la mia famiglia nella zona B, ha ceduto la casa all’Italia che poi ha trattato la cessione alla Jugoslavia in cambio di un corrispettivo, oggi dovrebbe riavere quei soldi. Quanto a creare una fondazione, dico no a nuovi carrozzoni. Federsuli era nata proprio per gestire cultura, musei, associazioni».
«Noi, dell’Associazione delle comunità istriane, gli unici a essere emanazione diretta del Cln dell’Istria - afferma invece Emanuele Braico che ne è il presidente - siamo favorevoli all’apertura di un tavolo a Roma, ma su due punti distinti: fare o non fare la fondazione per gestire i soldi del risarcimento, che tra l’altro nessuno ha mai visto dunque stiamo parlando del sesso degli angeli, e chiedere a parte un equo e definitivo indennizzo, non più acconti. Si tratta di somme diverse. I 90 milioni lo Stato se li può anche incamerare tutti, certo sarebbe meglio che non li usasse per l’erario, ma che facesse una fondazione da cui erogare i contributi che dà per le associazioni. A noi, invece, vanno i soldi dei danni di guerra».
Chiude Stelio Spadaro, l’uomo dell’ex Pci che lavora per ricostruire radici comuni sulle due sponde: «Quello che al “tavolo romano” possono fare istriani, fiumani e dalmati è costruire una “Europa Adriatica”. Non pensiamo a come possono riflettere sul passato, a Roma, ma che cosa possono fare oggi per la costruzione del futuro».
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