Esuli: «Al tavolo andremo compatti»

Ma ci sono posizioni diverse sui 90 milioni. Codarin: non bastano per gli indennizzi meglio una fondazione. Braico: sinora però solo acconti
Un'immagine simbolo dell'esodo
Un'immagine simbolo dell'esodo

Il tavolo romano attorno al quale siederanno sarà lo stesso. Le posizioni che esprimeranno nel confronto con il governo, però, non saranno perfettamente allineate. Perché al di là della volontà di fare fronte comune di fronte ai rappresentanti dello Stato italiano - linea condivisa da tutti, almeno a parole -, all’interno del mondo dell’esodo continuano a esistere sensibilità diverse. «Più o meno pragmatiche», per usare un’espressione di Renzo Codarin, presidente nazionale dell’Associazione Venezia Giulia Dalmazia.

Quella distanza emerge plasticamente di fronte a uno dei temi chiave che il dialogo con l’esecutivo dovrà affrontare: il destino dei circa 90 milioni di dollari, lasciati “in eredità” dal Trattato di Osimo. Soldi che Slovenia e Croazia, richiamandosi all’Accordo di pace del 1983 sottoscritto tra Italia e ex Repubblica jugoslava, sarebbero pronti a versare al nostro Paese per chiudere definitivamente la partita degli indennizzi per esuli della zona B. «E, a distanza di 40 anni dall’Accordo di Roma e con Zagabria ormai pronta a entrare in Europa, è forse effettivamente venuto il momento di chiuderla quella pagina - spiega Codarin -. Il punto è che Roma, una volta incassati quei soldi, potrebbe disporne come meglio crede (una recente sentenza della Corte Costituzionale, accolta con grande amarezza dalle associazioni, ha infatti negato l’esistenza di vincoli per lo Stato sovrano nei confronti degli esuli, ndr). C’è insomma il rischio che il governo porti a casa quei soldi e poi “chi ha avuto, ha avuto e chi ha dato, ha dato”. Ma noi non possiamo permetterci di correre questo rischio. E visto che quei soldi sono del tutti insufficienti per indennizzare in modo equo la nostra gente - per soddisfare tutte le richieste servirebbero più di due miliardi -, meglio puntare sulla creazione di una fondazione, controllata dal ministero del Tesoro, alla quale assegnare il compito di far conoscere la storia e la cultura degli Italiani dell’Adriatico».

Esuli, il Governo ora riapre il tavolo

Di avviso nettamente contrario il presidente dell’Unione degli Istriani, Massimiliano Lacota. «Ascolteremo con grande disponibilità l’orientamento del governo - afferma -. Ma riteniamo di non poter accettare questo automatismo: Accordo di Roma = uguale fondi incassati = fondazione. Se anche l’Italia decidesse di incamerare quei fondi senza prima rinegoziare l’accordo, dovrebbe destinarli per risarcire gli esuli e non certo per finanziare un’altra realtà associativa. Chiediamo insomma che il governo faccia un’operazione seria, per esempio rimpinguando il fondo istituito nel marzo 2001 con la legge 137 firmata dagli allora senatori Camerini e Bratina».

Da Manuele Braico, presidente dell’Associazione delle Comunità istriane, arriva poi un altro monito. «Roma non può considerare i 90 milioni una partita di giro con cui chiudere il caso esuli - afferma -. La nostra Associazione continua a rivendicare l’equo e definitivo indennizzo: un diritto che finora ci è stato negato, dal momento che sono arrivati solo degli acconti. E i soldi di Osimo di certo non basteranno a sanare quella ferita. Prima di incassarli, dunque, il governo farebbe bene a riflettere, visto che in seguito non potrà più rinegoziare nulla con Slovenia e Croazia. Come dovrebbe riflettere su un’altra, importante questione: gli impegni con gli esuli, dopo anni di promesse e ritardi, vanno seriamente onorati. E io mi auguro che il tavolo convocato la prossima settimana serva proprio a questo, e non si limiti semplicemente ad accendere i riflettori sul problema alla vigili del Giorno del Ricordo, senza poi risolverlo».

Le distanze, insomma, rimangono. Il presidente di Federazione delle Associazione degli Esuli Antonio Ballarin, tuttavia, è convinto che potranno essere superate. «A Roma sapremo presentarci in modo compatto per centrare l’obiettivo che sta a cuore a tutti: vedere riconosciuta la dignità del mondo dell’esodo. E la nostra storia - precisa Ballarin - non si chiude con lo stanziamento di soldi, non ci basta. Anche quello dei 90 milioni, quindi, è un aspetto marginale: forse fa molta notizia, ma non rappresenta il tema centrale per gli esuli. In gioco, infatti, c’è una sfida più ampia: l’attivazione dell’Accordo di Roma, che noi esuli abbiamo subìto e non certo voluto».

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