L’imprenditore edile vittima di estorsione a Trieste: «Ha estratto la pistola e mi ha minacciato: voleva 30 mila euro»
Il racconto in tribunale a Trieste dell’imprenditore. La famiglia messa sotto scorta e i due accusati latitanti
«Ha scarrellato la pistola davanti a me. Ho avuto un po’ di paura, ma ho mantenuto la calma dicendo a quell’uomo di metterla via... eravamo fuori, qualcuno poteva spaventarsi. Purtroppo nel mio paese di origine, il Kosovo, non è difficile vedere armi. Quindi non mi sono sorpreso».
La testimonianza, resa ieri in tribunale, è quella dell’imprenditore edile di 48 anni vittima dell’estorsione che si era consumata a Trieste un anno fa: due operai kosovari avevano minacciato di uccidere lui e i suoi famigliari se non avesse consegnato 30 mila euro. E uno si era presentato davanti alla vittima nel parcheggio del supermercato Metà di via Revoltella con la pistola in tasca. Che aveva estratto.
L’imprenditore, cittadino italiano nato in Kosovo e titolare di una ditta di costruzioni che opera da anni a Trieste con una ventina di dipendenti, è andato a denunciare il fatto ai Carabinieri innescando un’articolata indagine conclusa con l’arresto dei due: il ventiseienne Arlind Stullca (difeso dall’avvocato Andrea Cavazzini) e il trentasettenne Shkelzen Mazreku (avvocato Enrico Miscia). Dopo pochi giorni di detenzione in cella sono stati ristretti ai domiciliari, da cui sono poi fuggiti. Sono latitanti.
Ma il processo a loro carico va avanti. La vittima dell’estorsione, assistita dall’avvocato Alberto Polacco, è stata sentita in aula dal tribunale collegiale presieduto dal giudice Enzo Truncellito con a latere i giudici Alessio Tassan e Luca Carboni. Incalzato dalle domande del pm Matteo Tripani, ha ripercorso con molta precisione ciò che gli era accaduto.
È il 17 gennaio quando l’imprenditore incontra nel parcheggio del supermercato uno dei suoi estorsori: è Stullca, operaio che la vittima conosce perché tempo prima gli aveva chiesto di assumerlo. Stavolta vuole soldi: 30 mila euro. Se il denaro non fosse stato consegnato entro tre giorni, la somma sarebbe salita a 50 mila. Stullca sostiene di avere dei mandanti. «Non so perché avevano preso di mira me – ha spiegato l’imprenditore a margine dell’udienza – forse perché questa gente pensava che avessi molti cantieri in mano, visto il discorso dei bonus, e quindi liquidità. E forse perché non sono una persona cattiva e questo da alcuni può essere visto come una debolezza da poter colpire».
L’operaio fa sul serio. In quell’incontro nel parcheggio del Metà, Stullca scarrella l’arma e mostra all’imprenditore le foto della moglie e dei figli tratte dal suo profilo Facebook. Le intimidazioni continuano via chat, anche a sfondo sessuale nei confronti dei famigliari. Ma nel frattempo il quarantottenne va dai Carabinieri. Gli investigatori leggono le chat, capiscono il pericolo e mettono sotto protezione lui, moglie e figli. E intercettano le utenze telefoniche degli estorsori. Poi organizzano una trappola con la vittima: gli indicano di prelevare 15 mila euro, tracciando il denaro, e il giorno dell’incontro con uno degli estorsori mettono addosso dell’imprenditore un microfono per monitoralo a distanza.
L’appuntamento per la consegna dei soldi è in via Pascoli il 22 gennaio. Stullca sale a bordo dell’auto dell’imprenditore. Lui gli dà il denaro, impacchettato così da sembrare di un volume superiore rispetto ai 15 mila euro che conteneva (i malviventi pretendevano 30 mila). Quando l’operaio scende dalla vettura e si dirige in piazza Garibaldi con il pacco, i Carabinieri lo arrestano. Un paio di ore dopo i militari rintracciano in piazza Garibaldi il complice: Mazreku. È da una sua utenza che erano partiti i messaggi minatori. Durante la detenzione domiciliare i due sono fuggiti all’estero. «Un giorno – ha riferito l’imprenditore in aula – Stullca mi ha telefonato con un numero kosovaro dicendomi che ora ho un debito di sangue con lui». —
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