Est Europa, a trent’anni dalla caduta del Muro c’è chi torna a temere per la democrazia
L’euforia della libertà seguita alla rivoluzione è un ricordo ancora vivo, nell’Europa centro-orientale. Ma a trent’anni dalla storica svolta del 1989 non è solo momento di celebrazioni, a Est: è anche epoca di nuovi e profondi timori per lo stato di salute delle democrazie locali, indebolite da nazionalismi e populismi. È il quadro – fosco – che è stato dipinto da un rapporto della Open Society Foundation (Osf), fondata da George Soros, organizzazione che ha deciso di tastare il polso a migliaia di europei dell’Est «a trent’anni dalla caduta del Muro di Berlino».
I risultati? «Allarmanti», secondo lo studio. Oggi il 61% degli slovacchi, il 58% dei romeni e degli ungheresi, il 56% dei bulgari, il 51% dei polacchi e il 47% dei cechi ritiene che «la democrazia sia minacciata» nel proprio paese, raggiungendo percentuali ancora superiori fra gli over-65. Fa impressione anche il numero di bulgari (76% del campione), di romeni (54%) e di ungheresi (52%) che si è detto convinto che le elezioni non siano veramente libere, in casa propria. Nazioni dove c’è molta preoccupazione anche per lo stato di diritto, sempre più vacillante: ne è convinto il 74% in Bulgaria, il 70% in Slovacchia, il 68% in Romania, il 64% in Polonia, il 59% in Ungheria. Ma c’è di più. Nella regione serpeggia oggi un sentimento che avrebbe dovuto essere retaggio del passato, di quei regimi comunisti che tennero sotto scacco l’area per cinque decenni. Sentimento che risponde al nome di «paura della repressione» da parte di chi è al potere.
«Volevo firmare una lettera di sostegno a un candidato» dell’opposizione, ma «ho avuto paura» di ritorsioni, ha confidato un attivista romeno citato dallo studio. E chi teme «conseguenze negative» derivanti dal «criticare pubblicamente il proprio governo» è il 63% degli ungheresi, ma anche il 55% dei polacchi, il 51% di bulgari e slovacchi, metà dei romeni. Sono tanti, in media oltre il 60%, quelli che inoltre dicono di non fidarsi dei propri governi.
E mentre si guarda con sospetto a chi è al potere, rimane bassa in molti paesi anche l’aspettativa nei confronti del «libero mercato» e del capitalismo, che per trent’anni ha dominato nella regione. La maggioranza di intervistati bulgari, slovacchi e romeni – con percentuali tra il 28 e il 39% - pensa oggi «che l’economia del libero mercato sia stata un danno» per sé e per il paese nel suo insieme e sono tanti quelli che si sentono generalmente più poveri di quanto lo fossero trent’anni fa – con l’eccezione di polacchi, cechi e magiari, come confermato da un recente studio Pew. In genere, sono i più anziani i più critici verso l’economia di mercato. «Partecipammo al 1989 sperando che le cose sarebbero state migliori per noi, ma non è stato così, il paese è segnato da fallimenti e povertà», ha spiegato un cittadino di quella Bulgaria che ancora oggi è lo Stato più povero della Ue.
Ma ci sono anche sacche di ottimismo. Sono ragazze e giovani donne, i tanti attivisti della società civile e i «nativi digitali» che in tutto l’Est guardano al futuro con più ottimismo. A loro il fardello di finire il lavoro incompiuto dopo il 1989, di portare luce in quello che l’Open Society ha descritto come «uno stato di oscurità e pericolo», avvelenato dalle «paure sul futuro della democrazia». —
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