Esplosione a Gorizia, «Facchettin suicida? Aveva disturbi gravi ma adesso viveva un momento felice»

TRIESTE «Fabrizio Facchettin soffriva di un disturbo mentale grave. Confermo, era seguito dai nostri servizi. Negli ultimi venti giorni era venuto da noi almeno venti volte».
Ma, a sentire la dottoressa Paola Zanus Michiei, direttore del Centro di salute mentale di Gorizia, la sua assiduità non era un elemento negativo. Tutt’altro. «Significa che il cinquantenne cercava contatti, voleva parlare con gli altri, non era in una situazione di isolamento». Insomma, era in una fase di «benessere», pur non dimenticando mai i suoi disturbi mentali.
«C’erano stati, nel passato, momenti assai peggiori in cui questa persona aveva dovuto affrontare una serie di problemi e di disagi psichici importanti. Ora, era nella fase della consapevolezza. Sapeva di avere delle problematiche da risolvere e assumeva regolarmente i medicinali che gli venivano prescritti. Praticamente era scattato in lui lo stesso meccanismo per il quale un paziente con la pressione alta, consapevole dei rischi dell’ipertensione, sa che deve assumere determinati farmaci per abbassarla».
Un chiarimento importante viste le luci sinistre che si sono accese sulla sua figura, che lo vedrebbero responsabile dell’esplosione (anche se gli inquirenti continuano ad andare con i piedi di piombo) che è costata la vita a lui ma anche alla coppia che risiedeva al piano superiore, Sabina Trapani e il cittadino sloveno Miha Ursic.
«Veniamo al punto: non abbiamo mai avuto elementi clinici – scandisce con chiarezza il direttore del Centro di salute mentale – che evidenziassero una qualche intenzione di farla finita. Facchettin chiedeva aiuto, cercava il conforto dei nostri operatori, era in una fase di “apertura” della sua vita. Inoltre, i suoi familiari gli erano vicini. Non era solo».
Una descrizione che, apparentemente, non sembra essere quella di una persona che volesse farla finita. «Diciamo che, in quest’ultima fase, “gestiva” i suoi disturbi», la sottolineatura della dottoressa Zanus Michiei.
E le valutazioni non cambiano parlando con Marco Bertoli, già direttore generale dell’Ass Isontina e oggi direttore del Dipartimento di salute mentale. Premette di non sapere nemmeno che faccia avesse Facchettin anche perché le sue funzioni sono diverse rispetto a quelle della dottoressa Zanus ma è informato, come si suol dire, sui fatti. «I pazienti non li conosco tutti – premette –. Vengo una volta alla settimana a Gorizia ed è francamente impossibile avere un quadro clinico preciso per ognuno di loro. Comunque, dal confronto con i colleghi, a noi non risultava che Facchettin avesse intenti suicidiari. Ma ciò non vuol dire nulla perché la mente dell’uomo è complicata. Posso anche dire che non aveva avuto, nemmeno nel passato, questo tipo di pensieri».
Intanto, le indagini stanno andando avanti. E gli inquirenti continuano a non sbilanciarsi. E non confermano nemmeno quella che è diventata una voce incontrollata in città secondo la quale i tubi dell’erogazione del gas nell’appartamento di Facchettin sarebbero stati tranciati di netto. Questo non farebbe altro che rendere più solido il sospetto che l’esplosione sia stato il frutto di un atto deliberato e non di un incidente. Ma accanto a quest’indiscrezione se ne affianca immediatamente un’altra, di segno opposto. Il cinquantenne disabile pare non avesse un’utenza del gas. Ovvero, non fosse prevista l’erogazione del metano, nonostante l’impianto era perfettamente predisposto.
Elementi sicuramente non secondari. Da quanto si è appreso, sarà compito di un perito accertare l’esatta dinamica di quanto avvenuto nella cucina. I tecnici avrebbero ovviamente già riscontrato danni alle tubature, ma gli investigatori vogliono capire con esattezza se si tratta di danni causati dall’esplosione o se, invece, possano essere stati manomessi. —
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