Escalation di cinghiali e piogge acide. Boschi di rovere a rischio scomparsa
TRIESTE Se non si agisce in tempo, nel giro di una trentina di anni si corre il pericolo di veder scomparire i circa 130 ettari di boschi di rovere di Villa Giulia e del bosco del Farneto. Quello che sembra molto tempo in un’ottica umana, è in realtà ben poco dal punto di vista della natura. Questo è l’allarme lanciato da Livio Poldini, professore emerito di Ecologia Vegetale, durante un recente convegno sul tema del valore ecologico del bosco, le particolarità e le emergenze floristiche e faunistiche e le strategie gestionali future per il miglioramento dell'ecosistema forestale, moderato dal giornalista Maurizio Lozei e organizzato dal Comune e dal Museo Civico di Storia Naturale.
«Si osserva da tempo che i boschi periurbani, quelli a contatto tra il bosco e la città, non si stanno più rinnovando, ovvero producono ghiande che però non germinano», spiega Poldini. Poiché le roveri hanno un ciclo vitale di circa un secolo e quelle attuali hanno una settantina di anni, questo significa che tra tre decadi gli alberi rischiano di non essere più sostituiti da nuovi esemplari. Le due ipotesi principali sulle cause riguardano le piogge acide provocate dall’inquinamento atmosferico, che penetrano nel terreno e ne causano un inaridimento, e un’eccessiva presenza di cinghiali (determinata anche dal fatto che troppe persone continuino a nutrirli impropriamente), i quali mangerebbero le ghiande prima che possano germinare. Tutto ciò comporterebbe una perdita, oltre che estetica, soprattutto di un importante alleato nella lotta contro i cambiamenti climatici, poiché le superfici verdi sono in grado di assorbire grandi quantitativi di anidride carbonica.
«Gli interventi previsti dalla politica non vanno avanti e le foreste restano l’ultima avanguardia. Se non si pone rimedio, si corre pericolo che i boschi decadano e scompaiano», avverte Poldini. Per evitare che questa nefasta circostanza si possa verificare, il dirigente del Servizio Verde Pubblico del Comune, Francesco Panepinto, elenca tre possibili soluzioni che dovrebbero venir adottate: la ricostruzione di un mantello protettivo di cespugli all’esterno del bosco per creare un filtro contro le emissioni delle macchine, la recinzione di alcuni lotti per evitare l’ingresso dei cinghiali, la rinnovazione forzata con giovane piante provenienti dai vivai forestali, anch’esse protette dagli animali con uno scudo. Infine, un quarto “non intervento” sarebbe quello di sospendere nuove urbanizzazioni attorno ai boschi periurbani, per evitare di caricarli di ulteriore stress ambientale. Sul piano dei costi e dei tempi, Panepinto ipotizza che coi ritmi attuali potrebbero essere richiesti circa 15 mila euro all’anno per una decina di anni, i quali potrebbero essere reperiti tra i fondi ministeriali e dell’Unione europea per i progetti legati al verde pubblico. Ma prima di procedere con qualsiasi intervento, sarebbe necessario condurre un periodo di studi di 3-4 anni sulle possibili cause e i rimedi, per il quale potrebbe essere attivato un apposito dottorato di ricerca con l’Università di Trieste grazie al fondo innovazione del Comune.
L’assessore comunale ai Lavori e al Verde pubblico, Elisa Lodi, si dice consapevole del problema e dell’importanza di manutenere e valorizzare quello che rappresenta un polmone verde dentro la città. «Come vediamo ogni giorno – afferma Lodi -, andiamo incontro a cambiamenti climatici importanti e l'amministrazione deve essere più attenta su come cambierà il nostro modo di vivere. Gli investimenti futuri si dovranno concentrare su queste modifiche ambientali per essere pronti ad affrontare anche interventi di manutenzione straordinaria». —
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