Erdogan sbarca a Vienna. Scoppia il caos

VIENNA. Il giovane ministro degli Esteri austriaco, Sebastian Kurz, annusando l’aria e captando i segnali di tensione che già da una settimana la elettrizzavano, aveva visto giusto e lanciato un secco avvertimento. Nessuno tenti di «dividere la società austriaca». «L’integrazione è a volte difficile, le parole sbagliate possono avvelenare il clima», l’ulteriore precisazione. Precisazione puntuale, quella spedita da Kurz alla volta del premier turco, Recep Tayyip Erdogan. Alla fine parole sbagliate da lui ne sono arrivate poche, ma è bastata la sola presenza ieri a Vienna dell’uomo forte di Ankara a corroborare con i fatti i timori del capo della diplomazia austriaca.
Erdogan era atteso nella capitale mitteleuropea per una visita “privata”, sulla carta. Il viaggio era dedicato a celebrare il decennale della fondazione dell’Unione dei Turchi Democratici Europei (Uetd). In realtà, si trattava solo di un mega-comizio pianificato per promuovere presso la diaspora la possibilissima corsa di Erdogan alle presidenziali in Turchia. Comizio che ha avuto ricadute profonde, in una Vienna dove folle galvanizzate di cittadini di origine turca hanno sventolato per ore migliaia e migliaia di bandiere rosse e bianche, quelle con al centro la mezzaluna e la stella bianca. Vessilli, sollevati dagli almeno 7mila turchi che hanno abbracciato Erdogan all’interno della Albert-Schultz-Halle e dagli altri diecimila rimasti fuori a seguire sui maxischermi il discorso di colui che per tanti «qui è un idolo», ha detto un turco, con cittadinanza austriaca, all’agenzia Apa. Idolo che ha portato alla folla i «saluti di 77 milioni di turchi e non sono venuto per immischiarmi nella politica interna austriaca, sono qui solo per voi», ha assicurato rispondendo indirettamente a Kurz. Kurz, ministro «bambino» che non «si deve permettere» di parlare così «al nostro primo ministro», il testo della rivendicazione di un attacco hacker al suo sito, firmato nei giorni scorsi da sconosciuti «attivisti ottomani», una delle azioni che hanno fatto salire la tensione.
Ma i sostenitori di Erdogan erano sicuramente più presi dalle parole del leader dell’Akp sulla «civilizzazione e la cultura» che si diffonde «dall’Anatolia», terra di pace, «non di distruzione e guerra». Infine, la garanzia. «Nessuno», nell’Ue e oltre, «deve avere paura di una Turchia forte» e parte dell’Europa. E voi, turchi d’Austria, dite «sì all’integrazione», rispettate chi vi ospita, «ma no all’assimilazione», ha dichiarato Erdogan, tra gli applausi, come giocasse in casa. Tanto in casa da spingere i giornali d’oltralpe a chiedersi il perché di un’«accoglienza da popstar a Erdogan» da parte di una frazione della minoranza di origine turca in Austria, circa 200mila persone secondo le cifre ufficiali – altre parlano di più di 300mila - il 38% con cittadinanza austriaca, il 52% dei quali si sentirebbe «völlig heimisch», del tutto a casa in Austria, illustrano le statistiche. Ma molti turchi, ha avvisato ieri Der Standard, guarderebbero ancora con troppa nostalgia verso casa. Nostalgia – ricordano Minority Rights Group ed European Network against Racism – esacerbata forse da casi di discriminazione subiti «sul lavoro», dall’atteggiamento contro le «donne che portano il velo», dalla «percezione dei turchi come stranieri anche se di terza generazione».
Turchi che, come aveva previsto Vienna, non sono però un blocco unico. E le divisioni, come temuto, sono state esasperate da Erdogan. Tanti non hanno risposto al suo presunto invito a “isolarsi” dalla società che li ha accolti. E in diecimila si sono trovati al Praterstern per una grande protesta, issando cartelli con la dicitura «Erdogan assassino», bare nere con le scritte “Gezi” park e “Soma”, riferimento questo alla tragedia della miniera. Turchi anti-Erdogan e simpatizzanti del premier che, in certi istanti, si sono affrontati, costringendo la polizia a intervenire, in una Vienna diventata per un giorno una nervosissima dependance di Istanbul.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo