Emma Bonino: «Conte ha fallito, serve un altro leader»
TRIESTE «Mario Draghi? Magari!». Lo dice proprio con il punto esclamativo Emma Bonino, delusa da Giuseppe Conte, dal suo governo, dall’«incomprensibile innamoramento» del Pd per il premier dimissionario e il M5S. La via d’uscita da una crisi che l’ex ministra degli Esteri ed ex commissaria Ue, senatrice di +Europa, definisce «inedita»? Non il voto, ma un altro leader e una maggioranza più ampia di quella precedente.
Bonino, nelle ultime settimane ha sbagliato Conte a cercare numeri che non poteva avere?
«L’esperienza di Conte a Palazzo Chigi avrebbe dovuto finire nel 2019 dopo il Papeete di Salvini. L’errore fu fatto allora, quando il Pd pensò che il presidente del Consiglio potesse essere l’alternativa a sé stesso. Intestardirsi con i responsabili e pensare di reggere il governo in questa crisi sanitaria ed economica senza numeri è stato un atto di presunzione che Conte paga duramente».
Non ha votato la fiducia al Senato perché condivide le questioni sollevate da Renzi?
«La fiducia a Conte io non l’ho mai votata, a dir la verità. Renzi ha posto le sue questioni tardivamente, visto che l’andazzo sul Next Generation Eu o sulla giustizia era quello da tempo. Non so se fosse il momento giusto, ma le questioni poste erano comunque in gran parte fondate. E il fatto che Conte non riesca a trovare una solida maggioranza disposta a sostenerlo, dimostra che non stava lavorando affatto bene, nonostante i tamburi della propaganda vogliano far credere l’opposto».
Come giudica più in generale l’operato di Conte e del governo?
«Sugli aspetti sanitari della pandemia abbiamo sempre evitato di fare polemica, rispettando e invitando a rispettare le misure adottate dall’esecutivo. Mi lasci dire però che sulla scuola, per fare un esempio, il governo ha fallito il suo obiettivo: siamo il Paese che ha chiuso più a lungo le superiori e lasciato insegnanti e studenti per settimane senza informazioni adeguate».
A Conte è mancata anche l’abilità del dialogo?
«Gli è mancata la capacità di governo. A furia di rinviare, i problemi sono rimasti lì. Soprattutto quelli economici e della gestione della seconda fase della pandemia, tra ristori economici non sufficienti, soldi sprecati in inutili bonus, interi settori dimenticati e giovani lavoratori, professionisti e imprenditori senza alcuna prospettiva che non sia il reddito di cittadinanza. E il continuo rinvio del blocco dei licenziamenti è solo un sonnifero che ci porterà a un brusco risveglio».
Che rischi corre l’Italia perdendo l’occasione del Recovery fund?
«Sul Next Generation Eu il rischio è duplice: da una parte, arrivare a presentare un progetto senza riforme adeguate che potrebbe venire bocciato dalla Commissione o aprire una fase di contenziosi e negoziazioni; dall’altra, che alla fine ci si concentri su quanto più che su come spendere. Il timore è che non si raggiunga il vero obiettivo: un Paese con più produttività, e quindi più competitivo, che consenta alla nostra economia di crescere. Come ho detto al Senato: si chiama Next Generation, non Next Election».
+Europa che posizione assumerà?
«Diremo al Presidente della Repubblica che all’Italia serve una campagna vaccinale, non una campagna elettorale. Ma diremo no a un Conte ter, come abbiamo detto no ai suoi governi precedenti. Si facesse invece strada l’ipotesi di un altro presidente del Consiglio con una maggioranza più ampia di quella precedente, allora saremo pronti a discutere con l’incaricato ponendo i temi per noi irrinunciabili: dalla pandemia alla economia, dalla giustizia ai diritti. Un governo che vivacchia sarebbe il miglior regalo ai sovranisti, serve invece un governo per davvero per l’Europa».
Draghi premier può essere un’ipotesi? Può nascere con lui un governo realmente europeista?
«Magari! Ma meglio non sognare ad occhi aperti. Nel nostro Paese una decina di senatori che, legittimamente ma del tutto casualmente, si ritrovano a partire da militanze politiche diverse e a volte opposte ad improvvisare un gruppo parlamentare lo chiamano europeista: anche le parole più belle possono perdere il loro significato migliore».
Crede che Berlusconi arriverà a spaccare il centrodestra?
«Difficile. Ma almeno in questa fase spero che Fi possa partecipare a una maggioranza più ampia di quella attuale con un nuovo premier, differenziandosi dai sovranisti come accade in Europa».
Salvini e Meloni chiedono il voto. Solo tattica?
«No. Il Conte bis ha fallito nel suo principale obiettivo: arginare i sovranisti. Quando è nato il governo Pd-M5S, in Italia c’era un solo partito sovranista a doppia cifra nei sondaggi: la Lega. Oggi FdI ha superato anche i grillini. Quindi Salvini e Meloni, irresponsabilmente, hanno tutto l’interesse politico a cavalcare il malcontento nel Paese».
Il ruolo del Pd?
«Incomprensibile questo vero e proprio innamoramento politico per Conte e il M5S. Così come il fatto che i dem rinuncino ad aprire un confronto serio con le forze liberal-democratiche ed ecologiste fuori dalla maggioranza, che rappresentano un pezzo di Italia davvero europeista e progressista. Forse perché è più facile confrontarsi con i populisti che con i riformatori, che pongono questioni serie. E magari perché con noi di +Europa dovrebbero parlare di debito, spesa pubblica, università e ricerca».
In questo momento il voto è più o meno vicino?
«Deciderà il presidente Mattarella. Il voto sarebbe inopportuno, ma se non si troverà una maggioranza non resterà che quella via».
Questa crisi le ricorda qualche crisi del passato?
«No, è una crisi inedita che avviene in un Parlamento dominato da una maggioranza che nel programma elettorale del 2018 proponeva l’uscita dall’euro. La mia speranza è che in questi mesi gli italiani abbiano capito concretamente che senza l’Europa saremmo un piccolo Paese alla deriva nel Mediterraneo». —
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