ELUANA, IL SENSO DI UN ADDIO

La morte di Eluana è piombata all'improvviso e ha troncato le discussioni nelle famiglie, nelle tv, nel Parlamento. Ci ha lasciato tutti senza fiato. Non eravamo preparati. Eluana era senza alimentazione e idratazione da quattro giorni, ma i medici dicevano che la sua fine non sarebbe arrivata prima di 10-14 giorni, invece è arrivata subito. Dunque i medici sbagliavano. Se hanno sbagliato su questo, chissà cos'altro hanno sbagliato. Ci avevano assicurato che privata di nutrimento e di liquidi, la ragazza si sarebbe spenta quietamente, nella maniera più dolce possibile. Ma dall'America il marito di Terry Schiavo ci avvertiva che sua moglie era morta nello stesso modo, lui l'aveva vista, era lì, "ed è stata una morte orribile, fra sofferenze inimmaginabili".


Io e voi possiamo soltanto pensare che se la fine è stata così rapida, allora è stata una fine pietosa, se c'è qualcuno che poteva governarla (non i medici, non i religiosi, non i politici) l'ha indirizzata per il bene, l'unico bene a quel punto possibile. Avevo scritto qui, e lo ripeto, che se quella condizione era irreversibile, se non aveva più coscienza e non poteva mai più recuperarla, se il suo cervello era scollegato dal mondo per sempre, la soluzione umanamente meno straziante era una fine rapida, un intervento che le togliesse quella che alcuni chiamano vita e altri chiamano incoscienza, in un amen. Ma questo non può accadere, la scienza e il diritto non lo consentono. E allora la morte rapida è stata un errore della scienza, un grave errore.


Di fronte all'enormità dell'errore, ieri qualche voce (anche in Parlamento) sussurrava che la ragazza non fosse morta naturalmente, ma con qualche aiuto. E' soltanto l'emozione che fa nascere pensieri come questo. In realtà, il ciclo di Eluana si era concluso, e come sempre quando un ciclo vitale si conclude, noi ci domandiamo se ha avuto un senso, e quale senso. Sì, la breve esistenza di Eluana ha avuto un grande senso, e ci ha fatto capire una grande cosa. Noi legiferiamo su tutto, ma non abbiamo leggi che definiscano cos'è la vita e cos'è la morte, quando c'è l'una e quando c'è l'altra. E' probabile che quella legge che il Parlamento sta freneticamente discutendo giunga in porto, tardi ormai per essere utilizzabile per Eluana, ma utile nei casi futuri. Che i famigliari di Eluana vogliano o no, quel provvedimento verrà sempre chiamato, ogni volta che verrà utilizzato, legge Eluana.


Forse Eluana vorrebbe dare il nome a un provvedimento contrario, ma quel che importa è la materia a cui il suo nome si collega, il discrimine fra vita e morte, i diritti della famiglia e della società, dei sentimenti e dei codici. O anche, se volete, della Chiesa e dello Stato. La fine di questa esistenza bloccata, immobile su un letto, e tuttavia tumultuosa, perché intorno a quel letto han combattuto forze potenti, la fine, dicevo, è arrivata come tutte le fini: davanti e dietro alla clinica "La Quiete", in due strade parallele, si combattevano i due gruppi della vita che c’è ancora e della vita che non c’è più, e intanto, in mezzo, sfuggendo alle previsioni e ai controlli dei medici, la morte terminava il suo lavoro. A quel punto la battaglia intorno alla clinica è cessata e s'è fatto silenzio. Il gruppo per il quale la vita era finita si è sciolto. Il gruppo per il quale la vita doveva continuare s'è inginocchiato, e s'è messo a pregare. E' stata la cosa migliore.
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