Edilizia, a Trieste chiuse 200 aziende in 8 anni

TRIESTE I numeri non sono cambiati rispetto a luglio e disegnano un quadro sempre critico del settore: secondo la Cassa edile Fvg, in base a dati risalenti alla passata primavera, a Trieste gli operai del comparto sono poco meno di 1500 e le aziende 362.
La differenza, nel confronto con il 2008 ritenuto l’anno di svolta negativa, è molto marcata: allora gli operai erano quasi 2800 e le imprese iscritte 569. Gli addetti si sono dimezzati, più di 200 aziende sono state costrette a dare forfait.
Un costo economico e sociale elevato, che in Friuli Venezia Giulia appare ancora più pesante: gli addetti sono scesi da oltre 14 mila a 6900, le imprese da oltre 3 mila a 1230. Si pensava che dopo queste cifre arrivasse quello che in Borsa si chiama “rimbalzo tecnico”.
Pia illusione. «Il settore non riparte - osserva Donato Riccesi nella veste di presidente dell’Ance triestina - ha avuto nel primo decennio 2000 il vento in poppa, è stato iperfinanziato, si sono commessi molti errori anche in termini di gestione del territorio, adesso scontiamo duramente gli sbagli strategici di quel grasso periodo».
I privati sono fermi e il pubblico non si è rivelato l’atteso Mecenate, nonostante le deroghe al Patto di stabilità di cui possono disporre le amministrazioni nel Friuli Venezia Giulia. Riccesi si rivolge al Dipiazza 3, che governerà Trieste per un quinquennio, con una ricetta che assomiglia molto a quella adottata dal predecessore Cosolini:
«Molte piccole opere che siano abbordabili e affrontabili da parte dell’imprenditoria locale. Strade, scuole, riqualificazione energetica potrebbero essere gli assi lungo i quali incanalare le magre risorse disponibili, attraverso un raginevole sistema di gare».
Già, perchè Riccesi ben ricorda i 60-70 milioni di cui potevano disporre le giunte di Illy o del primo Dipiazza: «Adesso si arriva al massimo a 20 milioni, cifre obiettivamente molto basse». E per fortuna che funzionano stazioni appaltanti, come la multiutility AcegasApsAmga, che danno respiro all’asfittico comparto.
Il contesto imprenditoriale triestino ha visto le difficoltà di nomi storici (Settimo, Cividin) ma, a giudizio di Riccesi, le perdite sono assai parzialmente bilanciate dall’emergere di realtà più piccole «in crescita», strutture aziendali dinamiche «più disposte a spostarsi fuori Trieste rispetto alla forte stanzialità che ha connotato in passato il settore».
Dall’immobiliare privato - continua l’esame di Riccesi - non giungono grandi soddisfazioni. «Vediamo un po’ di risveglio nelle quotazioni basse, ma restano faticose quelle alte». «Perchè - prosegue l’esponente dell’Ance - c’è un mutamento di abitudini e di possibilità.
Una volta il professionista o l’imprenditore, giunto a una certa quota anagrafica, si faceva costruire una villa per sè e per i suoi familiari: adesso, alla stessa quota anagrafica, molto spesso ha appena cominciato a lavorare! E intanto la villa si è fatta pesante dal punto di vista gestionale: pensi alla tassazione e alle bollette energetiche. Così le persone cercano nell’abitare soluzioni meno costose».
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