"Ecco perché mi dimetto da senatore": la lettera di Willer Bordon
Ecco la lettera aperta di Willer Bordon, pubblicata da Il Piccolo, con la quale spiega le ragioni che lo hanno spinto a lasciare Palazzo Madama: è il 17 gennaio 2008
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Ieri pomeriggio ho consegnato al presidente del Senato Franco Marini, la mia lettera di dimissioni da senatore della Repubblica. L’avevo annunciato da tempo e, ancora ieri, molti mi chiedevano se avessi cambiato idea. Persino in questo vedo uno spaccato dell’idea malsana che in politica tutto sia parte di un teatrino di cui è già scritta la sceneggiatura, fatta di promesse e di impegni che non vengono mantenuti, di dimissioni che si annunciano ma non si rendono mai esecutive. L’idea che dietro un gesto simile non ci sia mai una riflessione profonda, che qualcuno possa fare qualche cosa negli interessi del paese e non per il proprio tornaconto, sembra essere una sorta di chimera.
Approfitto di questo spazio che Il Piccolo ancora una volta mi concede, per chiarire, dunque, in particolare ai cittadini della regione che rappresento al Senato, il perché di un atto così “estremo”. Chiariamo subito, innanzitutto, che il mio non è un gesto di rassegnazione, ma un atto (l’ennesimo!) di lotta politica. Un atto forte di testimonianza di chi sente il dovere di difendere le istituzioni dalla deriva di sfiducia che investe la politica. Un atto che, per così dire, prende in ostaggio la mia sorte personale e la scaraventa all’interno di una “casta” spesso insensibile e sorda per cercare di scoprire se vi è ancora qualche possibilità di scuoterla da una sordità e da una stolidità di fronte alla marea montante della rabbia dei cittadini.
Così non si può più andare avanti: siamo giunti al punto di rottura! Si continua nei soliti balletti e con i solititi linguaggi sempre più distinti e sempre più distanti dall’Italia che lavora, che studia, che produce. Rischiano di incrinarsi alcuni “fondamentali” che costituiscono l’ossatura portante di una società moderna: la capacità di investire nella ricerca e nell’innovazione; di trasmettere il sapere e di intraprendere. In troppi campi l’Italia è una società chiusa alla mobilità sociale, al ricambio generazionale all’equilibrio di genere.
Ho l’impressione che non si avverta la dimensione da Tsunami dell’ondata che sta per riversarsi complessivamente sul ceto politico e sulle sue istituzioni. Anche il sistema politico, e al suo interno l’organizzazione dei partiti, lungi dal correggere queste tendenze, si costituisce come un sistema di rendite, spesso difese da prassi consolidate, connotate dal privilegio quando non dall’illegalità. C’è un vuoto di credibilità di un intero gruppo dirigente. I privilegi vengono considerati insopportabili perché incardinati in un ceto politico che si giudica inefficiente. La gente sembra dirci: non ci fidiamo più di voi. Andatevene tutti a casa. Certo, c’è in questo una pulsione pericolosa, ma sarebbe sbagliato confondere la causa con l’effetto.
L’ho detto e lo ripeto: l’antipolitica non è il contrario della politica, ma è il prodotto della cattiva politica. Oggi l’antipolitica troppo spesso sta a Palazzo. Sempre di più la politica si trova a negare la sua stessa radice, che ne fa servizio e rappresentanza degli interessi comuni, “tecnica specialistica” non fine a se stessa. Oggi la politica, è spesso autorappresentazione di interessi personali o al massimo di una nomenclatura nella quale la dimensione dell’interesse di “casta” finisce a volte per essere cemento superiore alle formali divisioni dello scacchiere politico. La prima Repubblica è crollata sotto il peso della sua insipienza, della sua arroganza, dell’abbandono di qualsiasi etica della responsabilità nel governo della cosa pubblica. La seconda, forse mai nata, rischia di implodere drammaticamente nel riprodursi statico e ormai francamente non più sopportabile di un rito già inaccettabile quindici anni fa.
Sono entrato in Parlamento nel 1987. Una parte dell’attuale classe dirigente politica già vi era presente ed è rimasta sostanzialmente la stessa, costituendo oggi un vero e proprio “tappo” al ricambio generazionale. Ecco perché - dunque- giungo a questo gesto: con una facile rappresentazione mediatica potrei dire “esco dalla Casta”. Ne esco rinunciando a qualche privilegio e senza contropartite perché la politica si è fatta essa stessa prigioniera della sua più odiosa rappresentazione. Oggi vi è tutto un mondo che non è rappresentato, i cui linguaggi sono totalmente inascoltati. Questo mondo è il mondo di internet. E vi è un altro mondo assai più tradizionale: quello delle città, delle periferie, di un territorio nel quale la politica è quella dei fatti concreti, dei sì e dei no, della vita reale. Tentare di utilizzare i linguaggi e le tecniche nuove per parlare, come un tempo si faceva, porta a porta sarà una delle sfide che affronterò. Da cittadino che lavora , da cittadino normale: sarà dal territorio che ripartirò. Attento in particolare a quel versante dei consumatori e della città di Roma che costituiscono i miei impegni più presenti. Lì mi si potrà trovare.
Mi dimetto, dunque, convinto che conti agire, oltre che predicare, per smuovere e rinnovare un ceto politico invecchiato e chiuso e per esprimere la consapevolezza che il nuovo non può nascere dal vecchio.
Willer Bordon
P.S. È ovvio che un saluto ed un’attenzione particolare vanno a Trieste e al Friuli Venezia Giulia, di cui mi onoro di essere stato il rappresentante. Ai miei elettori che in questi venti anni ho rappresentato, spero al meglio delle mie possibilità. In questo ultimo periodo, assieme al collega Roberto Manzione, abbiamo conseguito un grande successo, uno dei più innovativi strumenti a favore dei cittadini: la Class Action. Ovviamente, mi sono molto interrogato se questo gesto potesse significare una qualche forma di tradimento nei riguardi dei miei elettori. La conclusione a cui sono giunto è no, in primo luogo perché ritengo che, invece, li avrei traditi se fossi andato contro le mie convinzioni e la mia coscienza, in secondo luogo perché so che li lascio in ottime mani, quelle di Cristiano Degano che, prima da giornalista e poi, oggi, da esponente di spicco del Consiglio Regionale, ha dimostrato qualità e competenza. Ai miei elettori e ai lettori de Il Piccolo - dunque- un caro ed affettuoso saluto.
P.P.S. Mi vedo continuamente etichettato come parte di questo o quel gruppo, da ultimo di un fantomatico gruppo che avrei fatto con Lamberto Dini. Notizia priva di alcun fondamento. Sono rimasto un Democratico che è semplicemente deluso dall’attuale Pd che doveva essere il primo dei nuovi partiti e che rischia di essere l’ultimo dei vecchi.
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