Ecco i nuovi “alloggi” per i gatti randagi nelle colonie feline

Le casette di plastica, che sostituiscono quelle malandate, sono state consegnate dall’assessore Lobianco alle gattare
Lasorte Trieste 04/10/19 - Sala Giunta, Ass. Lobianco, Casette per Gatti
Lasorte Trieste 04/10/19 - Sala Giunta, Ass. Lobianco, Casette per Gatti

TRIESTE Nuove casette per i gatti randagi. Il Comune di Trieste ha distribuito alle gattare Milas Andrelka, Sara Filograna e Eleonora Sivec, rispettivamente referenti delle colonie di Valmaura, Servola e di quella dell’area del Porto vecchio, 19 nuovi ricoveri per i mici che accudiscono. Prosegue così la sostituzione delle vecchie casette per i felini, con nuove cucce in materiale plastico, più igieniche, facili da lavare e spostare.

Man mano che i referenti delle colonie segnalano rifugi malandati, l’amministrazione comunale provvede a fornire le nuove “soluzioni abitative” per i mici. Un provvedimento che segue le indicazioni sulla tutela dei gatti randagi stabilite dalla legge regionale 20 del 2012 e dal Regolamento di benessere degli animali del Comune, norme che riconoscono nelle amministrazioni comunali i soggetti preposti alla cura della salute e delle condizioni di sopravvivenza dei mici che vivono nelle colonie feline. Sono circa 5 mila i gatti delle 730 colonie regolarmente censite a Trieste, seguite da circa 300 gattari.

«La sostituzione delle vecchie casette – indica Michele Lobianco, assessore con delega all’Ufficio zoofilo che ha lodato il prezioso lavoro delle gattare – risponde anche alle esigenze di una riqualificazione urbana. Voglio far presente a coloro che nel tempo le hanno rubate o danneggiate, che è un reato: sono un bene pubblico, del Comune».

Le gattare provvedono alla conduzione e alla pulizia della colonia. Spetta al Comune, invece, sostenere le spese per le sterilizzazioni. È pari a 31 mila euro l’importo destinato nel 2019 dal Municipio alla sterilizzazione di 400 gatti. «Un impegno che nel tempo ha consentito di contenere la popolazione dei gatti che vivono liberi – sottolinea Lobianco – e che, contestualmente, prevede l’inserimento del microchip. Un sistema che pian piano garantirà una fotografia più precisa della popolazione dei mici che vivono in libertà». —


 

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