È Peter Fleming il vero James Bond
Agente segreto durante il secondo conflitto mondiale, autore di libri di successo, Peter Fleming fu a lungo molto più noto nel Regno Unito del fratello minore Ian, poi affermatosi a partire dal 1953 grazie a James Bond. Secondo un biografo di Ian, quando l’editore Cape lesse la puntata iniziale della saga di 007 disse che la storia non aveva la stessa qualità di quelle di Peter. Tutti gli studiosi, inoltre, concordano sul modello al quale Ian guardò per creare Bond: si tratta proprio di Peter con cui condivideva lo sprezzo del pericolo, la passione per il lusso, la certezza della superiorità degli inglesi.
In Italia Peter Fleming arriva soltanto ora con “Avventura brasiliana” (Nutrimenti, 476 pagine, 22 euro), l’opera d’esordio del 1933 nella quale, nota la curatrice Francesca Valente, “si mescolano le caratteristiche delle spy story con le regole della commedia shakespeariana”, che molti giudicano tra i migliori resoconti di viaggio del secolo scorso.
Siamo nel 1932 quando il ventiquattrenne Peter decide di rispondere a un annuncio sul “Times”: si cercano uomini disponibili a partecipare a una spedizione nel Mato Grosso alla ricerca di un bizzarro esploratore, il colonnello Percy Fawcett, sparito nella foresta alcuni anni prima mentre indagava su una presunta civiltà perduta. Il piccolo gruppo trascorre mesi in Amazzonia senza naturalmente trovare traccia del colonnello e al ritorno in patria Fleming pubblica l’irresistibile resoconto di quella esperienza in un testo segnato da una ironia di matrice decisamente britannica. Dominano, infatti, l’amore per l’understatement, la dichiarata volontà di mettere da parte la retorica dell’esotismo di matrice ottocentesca, il gioco colto della parodia. “Abbiamo sopportato avversità e privazioni di entità molto ridotta e corso pericoli assai meno gravi di quelli che ci riserva una comune arteria stradale durante un’ondata di calore”, afferma.
In realtà le cose furono meno semplici. Ma Peter, dandy cosmopolita di fede imperialista, adora descriversi sempre imperturbabile anche in mezzo alla giungla e agli indios, pur piagato in ogni parte del corpo, alle prese con la fame e la sete, costretto a pagaiare per ore nel buio più assoluto. La fatica, il rischio, la sofferenza vanno affrontati con il piglio del perfetto gentleman, sostenendo che l’unica preoccupazione durante i mesi in Mato Grosso era per lui “capire se sarei tornato a casa in tempo per la caccia alla pernice e per poter criticare l’ultima commedia teatrale di Shaw a Malvern”.
Ha dunque ragione Francesca Valente quando sottolinea che Peter per Ian Fleming non era solo l’ammirato fratello ma anche il modello, l’uomo esemplare al quale ispirarsi per creare il personaggio di James Bond, rifacendosi a lui in maniera esplicita.
Nelle librerie inglesi e statunitensi è intanto appena uscito “Solo”, una nuova avventura di 007 firmata da William Boyd, il terzo narratore dopo Sebastian Faulks e Jeffrey Deaver a riportare in vita l’agente segreto su incarico degli eredi Fleming. Boyd ambienta la vicenda alla fine degli anni Sessanta e invia il personaggio a Zanzarim, paese africano di fantasia ricco di petrolio ma devastato da una guerra civile cui Bond dovrà cercare di porre fine.
Il titolo in italiano scelto da Boyd nasce dalla decisione di 007 di agire, appunto, da solo, ignorando gran parte delle direttive che gli giungono da Londra. Oltre all’Africa a far da sfondo alla vicenda ci sono alcune città americane dove, nel 1969, il protagonista decide di infiltrarsi tra i militanti della controcultura, frequenta i musicisti impegnati che si esibiscono a Woodstock, le marce contro la guerra in Vietnam e guarda ammirato il primo uomo che mette piede sulla Luna. A giudizio della critica, Boyd è riuscito nell’impresa di riproporre in maniera credibile il carattere originale di 007 in un thriller che in pochi giorni ha conquistato le posizioni di vertice delle classifiche.
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