«È ora di lasciare il Kosovo». Gli Usa in pressing sull’Onu

L’ambasciatrice al Palazzo di vetro: sì a un’exit strategy della missione dal Paese. Vučić: attenzione alle conseguenze, dovremo difendere la nostra gente

BELGRADO Un “paso doble” potenzialmente esplosivo per la stabilità del Kosovo, per i rapporti tra Belgrado e Pristina, per il dialogo a Bruxelles. E foriero di nuove tensioni. È il quadro che si sta sviluppando tra New York e i Balcani a causa delle mosse di Usa e Kosovo, seguite con allarme in Serbia. Mosse come quella della potente ambasciatrice Usa all’Onu, Nikki Haley, dimissionaria entro fine anno, che nella sua lettera d’addio al Segretario generale Onu, Antonio Guterres, ha inserito un passaggio dirompente. Per gli Usa, ha scritto Haley, la missione Onu in Kosovo sarebbe ormai inutile. Ed è venuto il momento che il Palazzo di Vetro «eserciti la sua autorità» per «sviluppare una exit strategy» della missione.

Unmik dal 1999 ha perduto moltissimi poteri e buona parte del suo senso iniziale. Ma per la Serbia è essenziale, anche perché la sua presenza si basa sulla risoluzione Onu 1244, che dà giurisdizione all’Onu su Pristina, senza menzionare in alcun passo un Kosovo indipendente. Se Unmik dovesse fare le valigie, ogni apparenza di un “legame” di Belgrado con la sua provincia meridionale svanirebbe.

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epa06630890 A member of Kosovo's police special unit stay guard near by the convoy carrying detained head of the Serbian governmentâs Office for Kosovo, Marko Djuric, in Mitrovica, Kosovo, 26 March 2018. Kosovo Police special unit detained head of the Serbian governmentâs Office for Kosovo, Marko Djuric, in northern city of Mitrovica for entering Kosovo despite a ban on his presence. EPA/VALDRIN XHEMAJ


Si spiegano così le durissime reazioni alle parole di Haley arrivate da Belgrado. Ad aprire le danze è stato Marko Djurić, numero uno dell’Ufficio governativo per il Kosovo. La Serbia «si opporrà con ogni mezzo, legale e politico» alla partenza di Unmik, ha promesso.

Ancora più duro il presidente serbo, Aleksandar Vučić, che ha segnalato che la partenza di Unmik e la creazione in un esercito regolare a Pristina – ormai imminente - metterebbe la Serbia in estrema difficoltà. È «evidente», ha dichiarato, che «si vuole eliminare ogni traccia della risoluzione 1244». Poi, l’avvertimento ai «partner americani a tenere conto di tutte le conseguenze». Se Belgrado fosse messa all’angolo, «come un topo», non avrebbe altra scelta. Se non quella di «difendere il nostro Paese» e soprattutto la «nostra gente», inclusa quella rimasta in Kosovo. Come? Vučić non l’ha detto, ma gli osservatori più attenti, come l’agenzia Ap, hanno parlato di «velata minaccia», pensando magari a un “ritorno” di forze serbe in Kosovo.

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Certo è che la tensione sta salendo. Anche perché Pristina – ed è la seconda mossa potenzialmente fatale – sta andando avanti a tutta forza verso la trasformazione della Kosovo Security Force in esercito regolare, una soluzione vista come il fumo negli occhi da Belgrado. Ieri pomeriggio il pacchetto di leggi ad hoc sviluppato dal governo kosovaro per raggiungere l’obiettivo – evitando modifiche costituzionali e il veto serbo - ha avuto la prima luce verde da parte del Parlamento, con un voto bipartisan ma con il boicottaggio dei rappresentanti politici serbi in Kosovo. Via libera anche alla creazione del ministero della Difesa. Pristina vuole «far paura e minacciare» i serbi del Kosovo, è l’accusa del ministro della Difesa serbo Vulin. È una «violazione della risoluzione 1244», ha denunciato il deputato della Lista Srpska, Igor Simić, chiedendo l’intervento della comunità internazionale. Che forse arriverà, prima del secondo voto – quello definitivo – atteso entro fine anno.

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