E il giovane Rommel prese migliaia di italiani con un pugno di uomini

TOLMINO Da Tolmino al rifugio di Planina Kuhinja. Una salita verso il balcone sull'Isonzo. Uno sguardo dall'alto, di quelle che accadde laggiù, tra shrapnel e gas. Colazione: uova, salame, qualche salsiccia, caffè, del caj verde. La giornata si mette in moto con luminosità. Passerotti volteggiano da un ramo all'altro. Tornanti larghi si arrampicano verso la cappella di Javorca.
È luogo parzialmente dimenticato. Le chiavi per aprire le recuperiamo al punto informativo posto all'inizio della strada forestale in direzione del luogo sacro, grazie al padrone della locanda dove abbiamo dormito ieri notte. A destra il versante corre ripidissimo. Sulla sinistra spunta un luogo dove far rifornimento d'acqua.
Nel frattempo si sono aggregate altre persone. Un plotone di curiosi, un gruppo coraggioso. Luigi, il generale, Irene, Giuseppe, Igor e Roberta. La calma è disarmante, il silenzio terapeutico. La prima scalinata si consuma passo dopo passo, fino ad appendersi al batacchio della campana posta fuori dalla cappella.
L'eco sembra liberarci dal peso della memoria. Legno che scricchiola. Rumori acidi. Tutta Javorca è fatta d'abete e faggio. Monumento senza tempo, autentico capolavoro di mastri d'ascia. Consacrata l'1 novembre 1916 e costruita per ricordare i caduti austroungarici, la cappella è considerata l'opera meglio conservata su suolo sloveno per quanto riguarda la Grande Guerra. Vecchi stavoli. Presenze umane.

Gruppi di capre sul sentiero verso il Mrzli. Giuseppe chiede di Gadda. E Rommel. Il Generale usa le bacchette da montagna per indicarci i punti esatti dove iniziarono le manovre militari la sera prima dell'attacco. «Ci fu un grande movimento di treni provenienti da Gorizia e diretti a Tolmino, mentre i tedeschi sui monti tutt'attorno preparavano l'offensiva». In cerchio ascoltiamo silenziosi mentre Paolo registra tutto.
Alla testa di soli 600 uomini fece prigionieri migliaia di italiani. Autonomia nella catena di comando.
Inversione delle strategie insegnate nelle accademie militari del tempo. Rommel decise di non intraprendere la via delle cime e, così facendo, decise di attaccare direttamente dalla valle dell'Isonzo.
Il bosco tutt'attorno si spezza. Segni di trombe d'aria. Il sentiero si perde.
Noi con lui. La felice perdita di orientamento che sperimentiamo lungo il tragitto diventa quasi necessaria. Non c'è bisogno di modelli, nè tantomeno di costruirsi delle certezze. Non ve ne sono, parlando dei massacri della Prima guerra. Paolo trova un berretto sulla strada. Davanti ad una radura umida apriamo le mappe nuovamente. E sia, si sale. Solo che questa volta si sale veramente e le gambe si trasformano in calcare.
Un reticolato spinato ci segue. Chissà da quanto tempo è qua. Sosta.
Nel 1965 Mondadori pubblicò i diari del Generale Caviglia, in un libro chiamato "La dodicesima battaglia dell'Isonzo". «Nessuna truppa può essere sottoposta per lungo tempo a sacrifici sproporzionati agli scopi da raggiungere». Foglie ed aghi. Sentiero ciondolante, saliscendi fino a delle malghe dormienti.
Giuseppe accarezza alcune mucche. Poi baraccamenti, alcuni segni della guerra, la vista sulla cappella di Javorca. Rumore di passi sulla ghiaia. Poi salita al Mrzli. Caverna scavata nel 1917 dal III Battaglione del XLVI Reggimento di fanteria ungherese. Coccarde dappertutto. Altare con preghiera alla Santa Vergine Maria. Mrzli sconosciuto. In cima una croce. Paolo Tanze ci raggiunge in cima. Con lui Lola, pastor bernese. Cammino sul versante. Poi, ad un tratto, compare un uomo che ci guiderà l'indomani in cima al monte Nero. Joško Kodermac. Baffo imperial-regio.
Lo accompagna Elio da Gorizia. Ogni tornante un salto d'acqua. Torrenti che scavano la terra. Un po' come quel ricovero dove un eremita sconosciuto visse fino all'inizio degli anni Cinquanta.
Una tabella indica il ricovero esatto. «Per 18 anni Gabršcek Franc visse in questa caverna. Nato nel 1876, morì qui nel 1952». Una parete di roccia chiude quella che fu la sua casa, un buco profondo. Come durante la guerra. Uomini come topi.
Rifugio Planina Kuhinja, ai piedi del Nero. Grappa alla genziana. Sete. Accendo l'ultima sigaretta della giornata. Giuseppe recita un passo del suo spettacolo su Ungaretti. Cena con minestra. Chiacchieriamo. Il generale vorrebbe restare ma deve rientrare a Trieste.
Poi il piano terra diventa ripostiglio per gli scarponi e una camerata lunga protegge questo plotone dalla scalata del Krn, un'altra montagna sacra.
(5 - Continua. Le altre puntate sono state pubblicate il 28 giugno, il 5, 19 e 26 luglio)
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