E dietro il nome Justus si celava Italo Svevo

Trovati due articoli rimasti sconosciuti per più di 130 anni

No, di inediti a rigore non si può parlare. Ma quello che qui pubblichiamo sono due testi del giovane Ettore Schmitz, futuro Italo Svevo, rimasti sconosciuti per più di 130 anni.

C’è stato chi, onore al merito, qualche tempo fa si era messo sulle loro tracce: quando lo studioso americano Carmine Di Biase stava preparando la sua edizione inglese del “Diario di Elio” (London, Troubador, 2013), – unica completa, ancorché in traduzione inglese del prezioso taccuino scritto dal fratello minore di Svevo – Brian Moloney, il decano degli svevisti, gli aveva suggerito di verificare una annotazione di Elio compresa in un elenco di documenti riferiti a Ettore e agli anni 1882-83: «Articolo di Inevitabile».

“L’inevitabile”, aveva spiegato Moloney, era un giornale triestino, una delle prime realizzazioni di Teodoro Mayer, futuro fondatore del “Piccolo”, su cui era possibile che il giovane Svevo avesse quindi pubblicato un articolo.

Le successive ricerche di Di Biase sul giornale non avevano prodotto risultati, anche perché i numeri in cui i due articoli di Svevo vengono ora infine rintracciati non facevano parte della collezione della Biblioteca Civica da lui esaminata. Ma se anche ci fossero stati è ben difficile che lui o qualcun altro potesse individuare in quelle due brevi caricature la mano di Svevo.

Ciò oggi è possibile solo perché dalla biblioteca di Cesare Pagnini, per il tramite del sempre vigile libraio antiquario e studioso di letteratura Simone Volpato, è emersa una copia del periodico - il numero 153, del 17 ottobre 1883 - con la sua firma di possesso.

Una firma, “Ettore Schmitz” che raggruppa una serie di documenti – libri e giornali – rinvenuti da Volpato nella biblioteca dell’ex podestà Cesare Pagnini, (come quelli di Carlo Michelstaedter, di suo padre Alberto e di e altri) e che ora arriveranno al Museo Sveviano grazie alla generosa donazione di InFin S.p.A. e all’attenzione di Lorenzo Pacorini (ne daremo conto più avanti poiché il Museo Sveviano sta organizzando intorno a questi materiali una mostra che verrà inaugurata il prossimo 19 dicembre, anniversario della nascita di Svevo).

L’aspetto più interessante di questa scoperta è, però, che quella firma sulla copia de “L’inevitabile” prima e più che rivendicarne il possesso, rivendica la paternità di un articolo, “L’uomo d’affari”, siglato con uno pseudonimo mai emerso prima: “Justus” (barrato con una linea ondulata a inchiostro blu e affiancato da un asterisco che rimanda alla firma a piè di pagina, “Ettore Schmitz”, appunto).

Il ritrovamento, di per sé esplicito, ma corroborato anche dall’annotazione del “Diario” del fratello Elio, dimostra che ci troviamo di fronte non solo a un articolo sconosciuto del giovane Svevo (che nel 1883 ha 22 anni non ancora compiuti), ma anche a un altro sconosciuto pseudonimo con cui egli firmava i suoi lavori, oltre al già noto “Ettore Samigli”, con cui più tardi avrebbe firmato quelle critiche teatrali e letterarie sull’“Indipendente” che, in quegli stessi giorni, firmava ancora con le sole iniziali “E.S.”.

Il che impone, naturalmente, di verificare se la stessa firma non si ritrovi anche altrove. E qui arriva la seconda sorpresa, perché in un numero di poco precedente, il 151 del 23 settembre 1883 dello stesso “Inevitabile”, si incontra un’altro breve bozzetto intitolato “Il collaboratore avventizio” che – personalmente non ho dubbi – è dovuto alla medesima penna e costituisce col primo una piccola serie. Solo che, terza sorpresa, la firma posta in chiusura non è “Justus”, ma “Intus”.

Viene subito in mente che uno dei due deve essere sbagliato, un errore tipografico, ma quale? D’istinto uno direbbe che “Justus” è quello “giusto” e “Intus” l’errore. “Justus” sembra più significativo di “Intus”, più in linea con la tradizione degli pseudonimi in uso sulla stampa periodica dell’epoca e con un ambiente e una cultura ebraiche come quella da cui proveniva il giovane scrittore.

C’è però il problema della “J” che rende l’errore meno automatico che se fosse basato sulla sola confusione tipografica del gruppo “us” - ancora una “US” nella vita di Svevo! – con la “n”. E va anche osservato che la parola latina “Intus”, dentro, è presente nella tradizione letteraria nella locuzione “intus et in cute” (da una satira del poeta latino Persio), usata – dice il Vocabolario Treccani – per definire una conoscenza intima di una persona, «soprattutto nei suoi difetti».

In questa accezione lo pseudonimo “Intus” sembra particolarmente adatto a firmare questi ritratti perché Il collaboratore avventizio, che ritrae quella particolare categoria di giornalisti che oggi si direbbero forse freelance, e L’uomo d’affari, dedicato a una figura che non saprei definire meglio che attraverso il dialettale trapolèr, sono due bozzetti che dipingono altrettanti tipi umani soprattutto attraverso i loro difetti, come si può vedere.

E, almeno nel primo caso, si può parlare di un ritratto, ancorché caustico, abbastanza intimo, da parte di un giornalista giovane sì, e tuttavia avventizio, che collabora con almeno due periodici allo stesso tempo e firma i bozzetti con uno pseudonimo e gli articoli letterari con un altro.

Ma per essere sicuri di quale sia davvero lo pseudonimo “giusto” e proseguire, quindi, con più sicurezza le ricerche, bisognerebbe trovare almeno ancora uno di questi bozzetti che, come detto, sono evidentemente progettati come una serie. Solo che una collezione completa di questo giornale non è stata ancora reperita.

Mi è già capitato di scriverlo, ma mi ripeto volentieri: i triestini sono pregati di rovesciare cassetti e armadi per vedere se, per caso, non contengano qualche copia de “L’inevitabile” con un articolo firmato “Justus”. O “Intus”. Ritrovare altri numeri della rivista, infatti, potrebbe aiutare a dire qualcosa di più preciso sulla collaborazione di Italo Svevo e sul suo doppio pseudonimo.

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