E al Silos ritornano i bivacchi dei profughi

Una ventina di migranti avvistati dentro al rudere tra falò e giacigli di fortuna. L’Ics corre ai ripari per sottrarli al gelo

La bora ha spazzato via anche le capanne dei profughi. Quelle rimaste in piedi, quasi per miracolo, vacillano a ogni sferzata di vento. Al Silos l’emergenza ora è il freddo. Prima dei veleni della politica, prima del gran discutere sulle lungaggini burocratiche nella gestione dei migranti.

Ahmed, Abdul e Karot, afghani poco più che ventenni, accendevano un fuoco per scaldarsi. Erano lì fino a martedì. L’Ics garantisce di aver trovato ieri, in extremis, una sistemazione anche per loro. Ma non si esclude che in queste ore ci possano essere comunque altre persone dentro al Silos.

I tre afghani si accucciavano attorno al falò per passare il pomeriggio e la serata a chiacchierare, bevendo birra, Martini e aranciata. Glieli portavano gli altri stranieri, quelli inseriti nel sistema dell’accoglienza cittadino. «Noi non abbiamo una casa», protestava Abdul.

Karot e Abdul sostengono di aver bivaccato al Silos per circa otto mesi assieme a una quindicina di altri stranieri, in attesa di ottenere lo status di richiedenti asilo.

Così almeno riferiscono. Se è vero quanto raccontano, come è possibile che in tutto quel tempo non siano stati intercettati da chi si occupa di dare ospitalità ai migranti? In questi mesi non si era mai creato spazio per loro? Ahmed invece è arrivato qui quattro giorni fa, dopo un periodo trascorso in un centro di Torino. Non sapeva dove andare e qualcuno, nel passaparola tra connazionali, gli ha indicato il Silos a Trieste. Qui, a fianco della Stazione ferroviaria. A un passo dal centro cittadino.

Le coperte per la notte vengono fornite dall’Help center, il punto di primo approdo per senza tetto e bisognosi. Migranti e clochard fanno colazione e doccia al centro diurno di via Udine. Pranzano e cenano alla Caritas. Ma non Ahmed, Abdul e Karot. «Noi non siamo accettati», dicevano. Don Alessandro Amodeo, il direttore dell’ente diocesano, ha qualche dubbio. «Per quanto mi riguarda, se una persona bussa alla porta viene sempre accolta – commenta il sacerdote –. Se questi migranti sono là, probabilmente sono loro che non vogliono rientrare nel nostro sistema di accoglienza. I motivi sono i più svariati: precedenti penali o altro. Preferiscono non essere identificati. La Caritas, ripeto, non lascia nessuno fuori al freddo o senza mangiare».

Gianfranco Schiavone, responsabile dell’Ics, ha fatto verifiche sulla presenza del gruppo di migranti al Silos: «Cercherò di capire come mai quelle persone sono là – assicurava nei giorni scorsi –, a noi comunque ne risultano sei in tutto. Sei richiedenti asilo che avrebbero diritto di avere un posto, ma che al momento non ce l’hanno ancora perché non abbiamo spazio a sufficienza. In questo periodo – proseguiva – gli arrivi sono intensi, ogni tanto riusciamo comunque a sistemare qualcuno in più in via emergenziale, ma non sempre. Comunque il Comune ha messo in piedi un sistema per l’emergenza freddo, dovrebbe funzionare anche per questi migranti». I tre dovrebbero ora trovarsi al caldo. Ma gli altri? Come detto, si presume che il capannone sia abitato da migranti non identificati.

I profughi si arrangiano con capanne di fortuna. «Ecco – dice un ragazzo afghano facendo strada verso la sua baracca – dormiamo così». È una tenda issata nel fango con pali di ferro, pezzi di legno e di metallo.

Dentro si scorgono materassi e sacchi a pelo. Alcune baracche sono crollate per la forza del vento. Altre hanno preso fuoco con i falò.

Lo scenario intorno è da bidonville. Spazzatura, pentole con avanzi di cibo. Piccioni morti. Escrementi. Vestiti, scarpe. E ancora materassi e stracci trascinati dal vento.

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