Due mesi di “cassa” alla Flex, no di Fim e Uilm

L’azienda comunica il ricorso all’ammortizzatore da lunedì. I sindacati non ci stanno: «Non siamo i notai della proprietà»
Foto di repertorio che illustra una protesta dei dipendenti Flex
Foto di repertorio che illustra una protesta dei dipendenti Flex

TRIESTE Altri due mesi di Cassa integrazione per Covid alla Flex, la fabbrica in zona industriale specializzata in apparecchiature elettroniche. Otto settimane da qui alla fine dell’anno. Così, d’emblée, come dicono i francesi. Si comincia da lunedì prossimo.

L’azienda lo ha comunicato con una breve missiva alle organizzazioni sindacali, limitandosi a motivare che l’emergenza sanitaria determina una riduzione della produzione. Quindi i 486 dipendenti diretti e il centinaio di addetti “somministrati” con contratto “staff leasing” - di questi si occuperanno le agenzie di lavoro interinale - dovranno ruotare in cassa.

Alla Fim Cisl e alla Uilm però è saltata la mosca al naso. «Non facciamo i notai di decisioni assunte saltando il confronto con il sindacato - attacca Antonio Rodà (Uilm) seguito da Alessandro Gavagnin (Fim) - rifiutiamo questa perversa logica di automatismi, per cui si ricorre alla Cigo senza verifica della situazione».

Un incontro con l’azienda è previsto nei prossimi giorni, perchè Fim e Uilm vogliono vederci chiaro. «Le ultime informazioni che il management aziendale ci ha fornito - incalza Rodà - non sembravano così male. Veniva confermato l’accordo con Nokia, che è di fatto l’unico cliente della fabbrica, erano avviate nuove attività di carattere logistico con un cliente importante ... Poi, dall’oggi al domani, due mesi di cassa. Non ci stiamo, questo è il tempo della responsabilità per tutti».

Flex, acquistata cinque anni fa dalla multinazionale statunitense Flextronics dalla francese Alcatel Lucent, non ha avuto vita semplice con la nuova proprietà e questo capitolo rischia di infiammare ulteriormente le relazioni industriali nello stabilimento situato in strada di Montedoro. L’unico risultato di un certo interesse è stata la regolarizzazione di una parte dell’ingente precariato che da anni caratterizza la struttura occupazionale di Flex. Per il resto una costante, persistente incertezza: lo stabilimento triestino non è mai decollato, le promesse di nuovi prodotti e di nuova clientela evanescenti, gli impegni assunti con le istituzioni dribblati. Concrete al contrario le preoccupazioni di una delocalizzazione neanche tanto strisciante verso la romena Timisoara.

Non è la prima volta che l’applicazione della “cassa Covid” genera la protesta di Fim e Uilm: era accaduto già a maggio, con l’applicazione di altre nove, contestate settimane di ammortizzatore sociale. —


 

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