Dudovich pubblicitario per le bonifiche del Duce

TORVISCOSA. Paludi da bonificare, guerra alla malaria, battaglia del grano, autarchia, città nuove. Trattori a vapore, braccia tese nel saluto romano, aratri lucidi, incudini, zappe, vanghe e muscoli ben gonfi.
Duecento manifesti e fotografie raccontano come l’Italia degli Anni Trenta cercò di limitare i danni provocati dalla Grande Crisi del 1929 e della Depressione economica che investì oltre agli Stati Uniti anche l’Europa. Germania in prima fila. La mostra è aperta fino a settembre a Torviscosa nella ampia galleria che il Comune ha “ereditato” dalla proprietà dello stabilimento chimico che fu della Snia ed ebbe come leader indiscusso Franco Marinotti. I manifesti e le grandi fotografie riportano il visitatore agli anni e al clima in cui il regime di Benito Mussolini controllava tutta l’informazione. Quella scritta, come quella visiva erano state progressivamente trasformate in propaganda, talvolta smaccata, altre volte più subdola ed efficace. Era però difficile all’epoca dire “no” alle bonifiche che davano nuova terra a contadini spesso affamati o indebitati. Era difficile dire “no” alla lotta alla malaria che a Torre di Zuino, l’antico borgo attorno a cui sorse la “città nuova” di Torviscosa, colpiva negli Anni Venti, secondo uno studio del dottor Roberto Tirelli, il 90 per cento della popolazione. Era anche impossibile contrastare chi, attraverso la costruzione dello stabilimento della Snia Viscosa, offriva un lavoro fisso a un migliaio di uomini in cerca di riscatto nella Bassa friulana.
La mostra, coordinata da Roberto Scarpetta e Giuseppe Parlato come il prezioso catalogo che l’accompagna, ha il pregio di raccontare attraverso la microstoria di Torviscosa, la macrostoria dell’Italia. I richiami all’Agro Pontino, a Carbonia, a Mussolinia Aprilia, Pontinia, Sabaudia, Littoria, Guidonia, Pomezia, Colleferro, sono espliciti. Le fotografie di queste “nuove città” il più delle volte sono riprese dal cielo per dare loro solennità e monumentalità. Gli spazi sono ordinati, gerarchizzati, le strade sempre ampie e rettilinee. “Noi tireremo dritto” si leggeva fino a qualche anno fa ai lati di molte vie italiane. I manifesti firmati da Bruno Munari, Marcello Dudovich, Leopoldo Metlicovitz, Gino Boccasile, Damiano Damiani, Arduino Angelucci, propongono slogan e parole d’ordine come “Acquistate prodotti italiani”, “Date lavoro ai nostri minatori”, “Lavoratore ricorda che sei soldato, che il lavoro è la tua trincea”, fino all’iperrealista: “Sono contadino e me ne vanto”. L’autarchia cercava di sostituire con risorse interne i prodotti importati: materie prime e generi alimentari. Questo rendeva all’epoca l’Italia vulnerabile in caso di guerra e di guerre negli Anni Trenta il fascismo ne aveva in calendario più d’una, dalla conquista dell’Etiopia e all’appoggio al generalissimo Francisco Franco. La soluzione più ovvia per ridurre le importazioni ed essere “liberi di agire” era quella di aumentare la produzione nazionale: anche per questo in quel decennio il nostro Paese divenne quasi autosufficiente per il grano. Ma l’autosufficienza riuscì impossibile per il cotone e per i prodotti minerari. Il Regime giocò allora la carta di Carbonia e dell’Arsia, in Istria, ma la produzione di queste miniere non potè soddisfare che una limitata percentuale dei consumi energetici del nostro Paese. Ciò che ci mancava venne principalmente della Germania e il prezzo politico da pagare fu altissimo.
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