Dubbi e sospetti sulla statua a Maria Teresa

«Volete far fallire un’iniziativa? Non cercate di bloccarla prendendola a pallettoni, semplicemente adottate la “regola del più 1”, la più sicura scorciatoia dell’immobilismo». L’ex direttore del Piccolo Luciano Ceschia, presidente onorario dell’Associazione regionale giornalisti e componente il direttivo del Circolo della Stampa, è abituato a pensare male. E così offre la sua lettura alla colletta per il monumento a Marita Teresa proposta da Massimiliano Lacota, portavoce degli Asburgo in Italia. «Un gruppo di associazioni e tanti cittadini (io sono fra questi) hanno proposto di intitolare all’imperatrice Maria Teresa l’asse portante, cioè il canale, della città nuova già oggi denominata nella consuetudine quotidiana “Borgo Teresiano” - illustra Ceschia -. L’idea è semplice: per onorare la sovrana senza rischi di impicci burocratici e disagi (cambio di numeri anagrafici) collochiamo quattro targhe ai bordi del canale (che oggi prende in prestito il nome dalla adiacente piazza Ponterosso) con sopra scritto “Canale Maria Teresa”. Serve soltanto, trattandosi di suolo pubblico, il consenso del Comune. Ma ecco l’offensiva del “più 1”. “Ma perché, invece, non mettiamo una bella statua in piazza Ponterosso? Magari promuovendo una pubblica sottoscrizione di fondi e chiedendo il parere agli eredi della casa Asburgo?”. Risultato garantito: non facciamone nulla e così evitiamo eventuali inconfessabili imbarazzi».
Dubbi e sospetti condivisi. «Parlo per me, ma sono contrario all’utilizzo di fondi pubblici per realizzare monumenti di qualsiasi tipo. La cosa potrebbe poi innescare delle polemiche e delle strumentalizzazioni che mi auguro vivamente tutti vogliamo evitare», osserva Walter Cusmich, presidente del Maria Theresia (che, anni fa, ha posto una targa “privata” plurilingue su un edificio lungo il Canal Grande, proprietà della comunità greca). «Anche su un intervento con fondi privati rimango scettico: sono tempi di crisi, di nuove povertà, e penso che la stessa Maria Teresa – cui si deve il primo Istituto per i poveri di Trieste - sarebbe stata della stessa idea - aggiunge Cusmich -. In ogni caso il nostro sodalizio non intende contrapporsi a nessuno».
Che fare allora? «Parlando a titolo individuale, credo che la lapide e l’intitolazione, naturalmente, non escludano l’ipotesi del monumento. Credo però che le due iniziative dovrebbero rimanere rigorosamente distinte: una è a costo zero, di elementare semplicità, l’altra presenta ben maggiori difficoltà: il costo, il sito, la scelta dell’artista», osserva Sergio degli Ivanissevich, vicepresidente della Società di Minerva, che con i suoi 206 anni è il più antico sodalizio culturale triestino. «Temo che in proposito potrebbero sorgere delle divisioni. Il sondaggio del Piccolo ha visto l’87% di favorevoli a un ricordo sentito, ma economico e “leggero”. Non so se l’idea di una statua avrebbe riscosso lo stesso consenso. È meglio che le due iniziative seguono ciascuna il proprio percorso». (fa.do.)
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