Droni e mini sommergibili con Saipem in Porto Vecchio a Trieste
I mezzi della controllata Sonsub vengono provati nella sede nel Magazzino 23. L’ultimo nato, “Wrov”, è tutto elettrico e opera a 3 mila metri di profondità
La memoria sottomarina dei Sauro, dei Marceglia e degli Schergat sembra quasi incorniciare la scelta effettuata da Saipem una quindicina d’anni fa: situare a Trieste un centro di eccellenza per verificare, provare, controllare le tecnologie destinate al mondo della subacquea, dalla robotica all’automazione, passando attraverso soluzioni digitali.
Sulla balconata interna dell’hangar 23 in Porto vecchio, sede della base Saipem, l’ingegnere Matteo Marchiori, responsabile di Sonsub, mostra i risultati dell’incrocio tra innovazione tecnologica e industria al servizio delle attività subacquee: dal “tappo” pensato per contenere le fuoriuscite dalle condotte petrolifere ai recentissimi vettori progettati per operare “da remoto” sott’acqua. Sonsub, interamente acquisita da Saipem negli anni Novanta, articola in tre fasi la propria vita aziendale: Marghera fabbrica (150 addetti), Trieste sperimenta (20 persone), la scozzese Aberdeen (300 dipendenti) commercializza la produzione.
La presenza triestina si concentra nel vecchio hangar 23. All’esterno l’edificio si affaccia sul Bacino 0, circondato dai magazzini 24-25 e dal Generali convention center. Nello specchio d’acqua davanti alla banchina vengono effettuate le primissime prove a mare, che vengono poi spostate oltre la diga foranea, sul cui fondo sono sistemati “simulacri” di materiali che richiamano le sembianze dei campi subacquei di idrocarburi. Per rendere più attendibile il dato sperimentale. Sulla punta della banchina un “Innovator”, strumento che conclude l’addestramento per pilotare i vettori.
Trieste luogo di messa a punto e di collaudo, «come la pista per l’industria automobilistica» è il paragone di Marchiori. Perchè l’hangar 23 è forse l’unico centro in Italia dove si svolge l’allenamento nella sua completezza. Nel vasto capannone l’ingegnere passa in rassegna le due macchine parcheggiate l’una vicino all’altra. Ne illustra le caratteristiche a partire dal “Rov”, veicolo a controllo remoto, filoguidato, 250 hp, elettroidraulico. È stato costruito come mezzo di soccorso della Marina militare per intervenire su sommergibili sinistrati.
Il funzionamento è interessante: in pratica Rov aggancia dall’alto una camera iperbarica, che può portare dalle 16 alle 24 persone e che viene appoggiata sul sommergibile allo scopo di evacuare l’equipaggio. In passato era la nave “Anteo” a svolgere il compito di accompagnatore delle missioni sottomarine, l’unità è in disarmo e sarà sostituita da “Olterra”, una sdo-surs (special and diving operations–submarine rescue ship) in corso di costruzione nei cantieri Mariotti alla loro prima commessa militare.
Marchiori passa al secondo vettore, “Wrov”, apparentemente molto simile al precedente ma in realtà assai differente. È l’ultimo della covata. Si tratta di un ibrido drone/rov, filoguidato. Che presenta - spiega il direttore - due caratteristiche: in primo luogo è completamente elettrico, con un impatto ambientale molto basso.
La seconda peculiarità si basa sull’intelligenza artificiale, una digitalizzazione che transita attraverso stereo-camere, laser, sonar. E che soprattutto gli permette una grande confidenza con l’ambiente marino. A una profondità di 3.000 metri procede lungo la rotta, ma è in grado di modificarla se incontra un ostacolo ed è comunque capace di ritrovarla una volta risolta la criticità. Rispetto al precedente vettore dalle funzioni ausiliarie militari, la sua attività è d’impronta industriale-commerciale: interviene sulle valvole e sulle installazioni, provvede alle pulizie.
Ad acquistare questo recentissimo prodotto la norvegese Equinor, un grande gruppo con 25 mila dipendenti, che potrebbe ricordare ruolo e dimensioni della nostra Eni. —
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