«Dragaggi illeciti». Otto indagati, nuova bufera sul porto di Monfalcone

Conclusi gli accertamenti da parte del pm Bossi sui lavori del 2019. Tra i coinvolti il direttore dell’Azienda speciale, Signore
Una delle chiatte sequestrate che avevano lavorato a Portorosega
Una delle chiatte sequestrate che avevano lavorato a Portorosega

MONFALCONE Attività di gestione illecita di rifiuti costituiti da fanghi di dragaggio in assenza di qualsiasi autorizzazione. Lo aveva già detto e contestato all’Azienda speciale porto con il sequestro della draga e l’area portuale la Procura della repubblica di Gorizia che quei lavori di manutenzione dei fondali del porto di Monfalcone per eliminare le gobbe che ostacolavano l’ingresso delle navi in banchina non andavano fatti così. Perché erano troppi quegli 80 mila metri cubi di fango da dragare per essere considerati una «manutenzione» del canale di accesso allo scalo. Troppi anche per essere ricollocati in mare in un’area vicina che non ostacola la navigazione come poi è stato fatto. Ed ora si torna al punto di partenza come al gioco dell’oca, con un’inchiesta che travolge ancora una volta i protagonisti dell’Azienda porto e in particolare il suo direttore, Sergio Signore.

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All’epoca, era il giugno del 2018, dopo il sequestro della draga della ditta Polese di Sacile che aveva vinto l’appalto era stata bloccata anche tutta l’area portuale dopo il blitz dei Noe. Un mese dopo il Tribunale del riesame aveva disposto il dissequestro. Ma la Procura non si è data per vinta, ha fatto ricorso contro il dissequestro e ha ottenuto la pronuncia della Corte suprema di Cassazione, terza sezione penale, che le dà ragione in toto: i quantitativi coinvolti per considerare una manutenzione devono essere inferiori a 10 mila metri cubi e non 80 mila, i sedimenti devono presentare tossicità assente, e devono essere esclusi impatti su biocenosi (la comunità delle specie di un ecosistema che vive in un determinato ambiente marino). Un ricorso presentato dalla Procura a carico del direttore dell’Azienda speciale porto Signore e di Pio Polese dell’omonima ditta veneta che ha fornito la draga. Una pietra tombale posata dalla Cassazione.

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Peccato però che dopo lo stop i lavori (era stato tutto dissequestrato) siano andati avanti e sono stati conclusi (con tanto di sminamento) a pochi giorni del Natale 2019. Mesi prima, il 4 luglio, la Corte di Cassazione aveva pronunciato la sua sentenza che è state depositata però, con tutte le motivazioni, il 12 di novembre. Troppo tardi per fermare il dragaggio che praticamente concluso.

Non era tardi però per la Procura che con in mano l’annullamento della Cassazione e il rinvio di tutto al Tribunale di Gorizia, ha rispolverato le indagini già fatte, ne ha continuato a fare altre nel canale del porto dove ritiene che il reato sia stato consumato. Indagini preliminari che sono state concluse, il pm Valentina Bossi si è fatta un quadro probatorio e lo ha depositato a inizio agosto scorso, con precise accuse nei confronti di ben 8 indagati.

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A cominciare da Signore (direttore dell’Azienda porto e Rup, responsabile unico di procedimento) assieme a Roberto Rusconi (direttore dei lavori di manutenzione), Maria Pighin (legale rappresentante della Polese) e con lei Pio Polese (direttore tecnico dell’impresa), Gianluca Boscolo Anzoletti (responsabile operativo a Monfalcone della Lmd ditta di Malcontenta, a Venezia, incaricata di effettuare i lavori di dragaggio in subappalto). A tutti viene contestata l’attività di gestione illecita di rifiuti costituiti da fanghi di dragaggio (82 mila metri cubi) «in assenza di qualsivoglia autorizzazione». Ma anche la rimozione dei famigerati massi che erano stati collocati sotto gli accosti 1, 2 e 3 della banchina dell’ex autostrada del mare (altra vicenda che ha suscitato grande clamore). Tutti «in assenza di qualsiasi autorizzazione». E la Procura si riferisce a quella «illegittimamente rilasciata» nel 2016 e «priva dei requisiti essenziali relativi alle analisi richieste per legge» dalla Regione e in particolare dalla direzione del servizio idrico. Un’autorizzazione che all’epoca era stata successivamente revocata «in autotutela» dalla Regione che aveva capito che qualcosa non andava. E che ora vede indagato nuovamente l’ex direttore del servizio, Pietro Giust a cui vengono contestati tutti i reati degli altri. Ora tocca al giudice decidere sul rinvio a giudizio.

Ma nel frattempo c’è già qualcuno che prima di andare in udienza ha già pagato, l’impresa Polese, l’ultima della fila, quella che doveva eseguire i lavori, alla quale è stato notificato un sequestro di beni per 877 mila euro (la cifra dell’importo dei lavori) che l’ha portata alla procedura di concordato, un passo dal fallimento. Giovedì prossimo è stata fissata un’udienza al Tribunale del riesame di Gorizia dopo la richiesta di dissequestro del legale, Valter Buttignol. «Ogni volta che si colpisce un’impresa, e parlo di un’azienda storica, è come se si colpisse il sistema economico del paese – commenta amaro lo stesso Buttignol – bisognerebbe pensarci bene prima di farlo». —

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