Draga Sant'Elia, l’ultima ferrovia al confine orientale nata sotto l’Impero e oggi ridotta a un rudere

Venne inaugurata nel 1887 per favorire l’attività del Porto. Da 60 anni qui non passa più nessun treno. «Peccato non si siano mantenuti i binari»
Silvano Trieste 2018-08-07 La stazione di Sant'Elia
Silvano Trieste 2018-08-07 La stazione di Sant'Elia

TRIESTE Il verde l’ha quasi interamente divorata, il tetto è crollato in alcuni ambienti, dentro segni di atti vandalici e di chi ha depositato immondizie nel corso del tempo, oltre alla distruzione inevitabile provocata dagli agenti atmosferici. Ma la scritta “Sant’Elia” e alcuni dettagli fanno intuire la sua originale destinazione.

A Draga Sant’Elia, ai bordi della pista ciclabile, c’è una vecchia stazione dei treni, chiusa nel lontano 1958. Si tratta di un vero e proprio pezzo di storia delle ferrovie, era la stazione di confine più orientale dell’intera Penisola, ridotta a un rudere, con infissi rotti, la copertura divelta e parte dei muri del primo piano crollati. Dopo la dismissione, la parte superiore dell’edificio è stata utilizzata per anni come abitazione privata, fino al completo abbandono.


Dal sentiero sottostante si nota il piano terra, dove porte e finestre sono murate. Dalla scala in pietra laterale si accede al piano più alto, quello che si affacciava sulla ferrovia, sulla linea che si chiamava Trieste – Erpelle, diventata ora pista ciclo-pedonale, dopo lo smantellamento dei binari.

A ricordare la storia dell’edificio è Roberto Carollo, direttore del museo ferroviario di Trieste, che in quella stazione ci è entrato da bambino e che a tutta la linea ha dedicato anche un libro Il treno della Val Rosandra, scritto insieme a Roberto Carmeli.

«È una stazione che per tanti motivi è unica – spiega – come prima cosa è curiosa la scelta di un ingresso sotto il livello dei binari, era tipico delle stazioni di testa e questa non lo è stata. È nata nel 1887, per esigenze legate al porto di Trieste, costruita a tempo di record per l’epoca, 20 chilometri in 20 mesi, con l’impiego di 2.600 persone, considerando anche uno stop forzato, dovuto a un’epidemia di tifo nell’estate del 1886. I primi progetti riportati nel nostro libro sono del 1885. È stata molto attiva fino al 1906. Altra curiosità: fino al 1923 si è chiamata stazione di Draga, poi con l’ “italianizzazione” forzata dei nomi, è diventata Sant’Elia».

Nel volume, con testi, foto e cartoline datate, sono stati anche recuperati gli orari originali di passaggio dei convogli del 1914 e di alcune annate successive, che documentato la lunga vicenda che ha caratterizzato la tratta. «Per i traffici dello scalo marittimo di Trieste, inizialmente è stata fondamentale, strategica, poi la sua funzione ha perso lentamente importanza.

Un altro aspetto che la rende speciale è il fatto che dal 1947, suo malgrado, è diventata un valico di frontiera, l’ottavo tra la zona A e la zona B, poi negli anni ’50 il traffico si è ridotto moltissimo. Nel 1958 la linea è stata chiusa, per un periodo è stata sostituita da un bus, fino al 1977. Per ripristinarla era stata fatta anche un’interpellanza parlamentare, ma con poco successo. I binari sono stati smantellati completamente nel 1966».

La biglietteria era collocata nel primo livello, sigillato ormai da oltre 50 anni. Sopra, oltre alle stanze quasi completamente distrutte, c’è un cortile, con un pozzo e un piccolo fabbricato in cemento, forse un magazzino, accanto al quale si apre sul pavimento una voragine, forse un altro pozzo.

Le condizioni al momento sono pessime, alcune travi e ampie porzioni dei solai sono collassate, le finestre ormai inesistenti mostrano gli ambienti di un ex alloggio, dove si distinguono ancora alcuni mobili, pesantemente rovinati. Qua e là spuntano ancora stoviglie, una vecchia tenda, buste e bottiglie di plastica, giornali accartocciati, vestiti e qualche scarpa dimenticati chissà da quanto. Su un pezzo di recinzione spunta un cartello “Proprietà privata delle Ferrovie dello Stato”, ma è difficile, se non impossibile, riuscire a capire chi sia al momento il reale responsabile.

«È un’altra particolarità – continua Carollo – perché tante simili sono state vendute, anche a privati, o comunque riutilizzate. Per questa non si sa bene cosa sia successo in tempi più recenti».

Sono tanti gli appassionati di bicicletta che ogni giorno passano accanto all’ex postazione di confine, qualcuno spera che in futuro la palazzina possa rinascere, diventando magari un bar o un punto di sosta dedicato proprio ai tanti cicloamatori, che qui transitano tutto l’anno, con particolare incidenza d’estate.

E per Carollo, pensando all’epilogo della stazione, resta un rammarico. «Peccato – conclude – che non si siano mantenuti i binari, sarebbe potuta diventare una sorta di metropolitana leggera, in grado di collegare agevolmente tanti paesi e realtà più periferiche. Fermo restando l’utilità della pista ciclabile, il collegamento di superficie si poteva realizzare con poco, avendo già la struttura a disposizione. Ma ormai non esiste più nulla». –




 

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