Dopo la tempesta - «L’Europa assente nell’emergenza. E questo periodo ci serva da lezione»
TRIESTE L’assenza dell’Europa e la necessità di trarre una lezione da quanto avvenuto. È il quadro dei nostri giorni dipinto dalla quarta puntata di “Dopo la tempesta”, la serie di videoforum organizzata da Il Piccolo in collaborazione con Esof2020. Questo incontro, moderato dal direttore Enrico Grazioli e dal vicedirettore Alberto Bollis, ha visto come ospiti Chiara Valduga, presidente e ad del Gruppo Cividale spa (settore metallurgico), Mauro Giacca, professore di Scienze cardiologiche al King’s College di Londra ed ex direttore di Icgeb, Andrea Segrè, professore di Politica agraria internazionale e comparata all’Università di Bologna e presidente della Fondazione Fico, Benjamin Zidarich, viticoltore, produttore di vini e titolare dell’omonima Azienda agricola di Prepotto sul Carso triestino.
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Zidarich racconta cos’ha significato la crisi del coronavirus per chi lavora la terra: «Quando vivi con la natura è molto difficile. La natura non si ferma, non va in cassa integrazione. Ci siamo arrangiati. Il mercato è in difficoltà, soprattutto verso l’estero, speriamo di farcela». Al contempo, aggiunge, «abbiamo imparato a vivere più in famiglia. Una cosa bella e giusta».
A proposito di buone pratiche interviene Segrè: «Il desiderio di tornare alla normalità non deve impedirci di far tesoro di quanto appreso su quel che non funzionava prima. Faccio un esempio in ambito di consumo: abbiamo imparato a pianificare i pasti e fare spese mirate. La lista della spesa in fondo è nobile tradizione, ci sono precedenti in Michelangelo e Leopardi. È come se avessimo fatto un corso accelerato di economia famigliare».
Dalle microeconomie di casa alla macroeconomia del settore metallurgico, Chiara Valduga fa il punto della situazione per il Gruppo Cividale, da lei presieduto. Una realtà che fattura circa 350 milioni l’anno e impiega solo in Italia circa 1500 persone: «Abbiamo chiuso del tutto per una settimana e poi, essendo in filiera strategica, ripreso al 30-40% della capacità produttiva per tutto il periodo. Il colpo l’abbiamo ricevuto, ma preoccupa di più la riapertura: i nostri mercati più promettenti sono bloccati. Ora cerchiamo di capire quali si riprenderanno». Quanto alla sicurezza sul lavoro in fase di ripresa, dice: «La nostra tipologia produttiva si adegua abbastanza alle richieste di sicurezza fra grandi capannoni, spazi aperti, grande distanza tra le persone. Guanti, mascherine, caschi, caschi aspiranti sono dotazioni standard per il nostro settore».
Quando torneremo alla normalità? Giacca prova a tracciare alcune mappe del prossimo futuro. «Il mio gruppo, come molti, ha messo in pausa i precedenti progetti per lavorare sul Covid. Rileviamo che il virus muta molto poco, eppure si sta attenuando, i casi diminuiscono drasticamente e sono meno gravi. C’è qualche cofattore che non conosciamo, forse un rapporto del virus con il clima o la stagione. In Africa ad esempio l’epidemia non sta scoppiando». Questi gli scenari: «Può essere che il virus sparisca come fece la Sars fra 2003 e 2004, anche se è molto diffuso perché avvenga in un colpo. Potrebbe poi adattarsi alla popolazione, diventando meno virulento, ma non c’è evidenza al riguardo. Potrebbe dare picchi in inverno, ma non è probabile. Esiste la possibilità di avere il vaccino pronto in primavera e non avere i malati. Bisogna lavorare rapidamente».
Le istituzioni europee sono e saranno all’altezza della ripartenza? «Nel mio campo, le politiche agrarie, ho l’idea che non ci sia un’azione comune – dice Segrè –. In generale l’Europa c’era poco in passato e ora non c’è. Ecco una cosa di prima da cambiare, nelle politiche economiche come ambientali. La spinta per il New Green Deal europeo è ancora teorica, e frenata dal crollo del petrolio, ma spero che il momento di stasi ci consenta di arrivare a una sintesi europea. Anche se temo di no». Parlando di faglie europee, Zidarich riporta l’effetto del blocco del confine su un’azienda transfrontaliera: «Vivo malissimo questa situazione. In azienda abbiamo lavoratori di nazionalità slovena. Il confine quand’ero piccolo era una cosa terribile, un blocco. Oggi invece noi in Slovenia abbiamo vigne: devi essere presente, lavorarci. La chiusura dei confini era la cosa peggiore che potesse capitarci». Quanto alle polemiche fra Roma e Lubiana, dice: «Da quanto seguo del dibattito in Slovenia c’è timore che l’arrivo di turisti dalla Lombardia possa diffondere il virus. Per questo sono prudenti».
Per tutto ciò Giacca propone una lettura doppia, europea e italiana: «Sono un europeista convinto ma questo stress test ha frantumato qualsiasi idea di unità. La gestione delle grandi crisi deve essere macro. Altrimenti succede come in Italia con il caos delle Regioni. Allo stesso modo all’Europa serve una linea comune». Ciò detto, passa all’Italia: «In Inghilterra le autorità avevano una voce unica e invocavano chiaramente al distanziamento sociale, alla responsabilità personale. In Italia abbiamo detto “state a casa” altrimenti arriva il poliziotto e ti dà la multa. Una reazione scomposta, da stato di polizia, che mi ha disturbato. Ha anche dato all’estero l’impressione comprensibile che fossimo degli appestati, che non siamo».
Anche per Valduga «l’Europa è stata assente, ma spero che ora si prenda in mano una strategia volta a far ripartire settori e filiere. Il governo italiano ha fatto quel che ci si aspettava per fermare l’emergenza sociale, però servono politiche di lungo periodo».
Che ne sarà di noi? Mentre Zidarich si prepara «ad anni difficili in cui bisognerà aver pazienza e sperar bene», Valduga guarda alla ripresa dei mercati e della scuola in famiglia, mentre Giacca spera si arrivi al vaccino per poter tornare alle sue ricerche sul cuore «e smettere di fare videoconferenze».
A Segrè l’augurio finale: «Ora sappiamo che ci basta un po’ meno per vivere. Spero che il lento futuro che abbiamo davanti ci possa ricondurre alla cura della casa comune, in fondo economia ed ecologia hanno la stessa radice. Se servirà a questo, lo choc sarà stato utile. Il mondo è cambiato drammaticamente in due mesi, nel mondo globalizzato senza governi macro il battito d’ala della farfalla dall’altro lato del mondo può davvero scatenare un uragano qui. Servirà agire localmente ma mantenere una visione globale». —
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