Donnet favorito Nella resa dei conti fra le due cordate affluenza decisiva

Luigi Dell’olio
Philippe Donnet, group Ceo di Generali
Philippe Donnet, group Ceo di Generali

MILANO Un’affluenza al voto superiore al 70% che potrebbe significare una probabile vittoria della lista presentata dal cda uscente rispetto a quella messa a punto da Francesco Gaetano Caltagirone. I rumors della vigilia davano queste posizioni in campo, in vista del voto assembleare odierno, che vedrà in lizza anche una terza - di minoranza - promossa da Assogestioni. La lista 1, supportata da Mediobanca e De Agostini, vede come candidato al ruolo di group ceo Philippe Donnet (per lui si tratterebbe di una conferma) e per quello di presidente Andrea Sironi. Quella promossa dal costruttore romano, e supportata anche da Leonardo Del Vecchio e Fondazione Crt, presenta come candidati alle posizioni di vertice rispettivamente Luciano Cirinà e Claudio Costamagna. Quest’ultima ha incassato l’endorsment last minute da parte della Cassa forense, che detiene circa l’1% delle azioni.

Una mossa che ricalca quella fatta due giorni fa dai Benetton, i quali metteranno a disposizione la propria quota del 3,79% a sostegno di quella che viene considerata la lista in svantaggio con l’auspicio che una vittoria sul filo dei voti possa indurre i due schieramenti a scegliere una via conciliatoria anziché proseguire sul terreno dello scontro, anche aspro, che l’ha fatta da padrone nel corso degli ultimi mesi.

La lista 1 parte dal 18,7% in mano a Mediobanca (tra partecipazione diretta e prestito titoli) e De Agostini, mentre gli sfidanti sarebbero intorno al 23%. Ma non è escluso che i Caltagirone e Del Vecchio abbiano ulteriormente arrotondato le proprie quote negli ultimi giorni: l’unica certezza è che non sono saliti sopra il 10% a testa, soglia oltre la quale sarebbero stati tenuti a fare una comunicazione ufficiale. Lo schieramento del duo Donnet-Sironi, tuttavia, ha già ottenuto l’approvazione di alcuni istituzionali, come Norges Bank (1,5% la quota con cui si era presentata all’assemblea dello scorso anno), Deka Investment, Fondazioni Casali, Union Investment, Florida SBA, British Columbia Investment Management e California Public Employees Retirement System (0,55%). Anche alcuni grandi proxy advisor hanno invitato gli azionisti a sostenere la compagine uscente.

Il piano industriale messo a punto a metà dicembre da Donnet prevede fino a 3 miliardi per nuove acquisizioni e 1,1 miliardi in trasformazione digitale che dovrebbe consentire di tagliare sensibilmente i costi. Nel piano è compreso anche il primo buy back dopo molti anni a Trieste per liberare capitale da investire. Quanto alla remunerazione dei soci, sono previsti fino a 5,6 miliardi di dividendi cumulativi in tre anni, una quota sensibilmente superiore ai 4,5 miliardi del piano 2019-2024.

Il piano presentato un mese fa da Cirinà concorda sul fronte dei dividendi, mentre prevede fino a 1,5-1,6 miliardi di investimenti in trasformazione digitale e tecnologica e un taglio di costi annui fino a 600 milioni di euro che interesserebbe la direzione centrale, a cominciare dai tagli alle retribuzioni dei top manager.

Quanto alle acquisizioni, si punta a mettere in campo fino a 7 miliardi, ricorrendo se necessario alla leva. I soci saranno chiamati a giudicare quale dei due piani può far crescere maggiormente il valore del titolo, e quindi appare più credibile. Non è detto che l’esito di oggi chiuda la contesa. Secondo rumors di mercato, in caso di distacco ridotto, non è escluso uno stascico legale. Inoltre Del Vecchio e Caltagirone, qualora dovessero soccombere, potrebbero portare lo scontro direttamente in casa Mediobanca, di cui sono entrambi azionisti (l’imprenditore agordino ha la maggioranza relativa, ma finora non è riuscito a incidere per il freno imposto dalla Bce) e che sarà chiamata a rinnovare i vertici nell’assemblea dell’autunno 2023.

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