Donna volata dal balcone, il caso viene riaperto

È stata assolta due volte dall’accusa di calunnia. Ma adesso riaffiora l’ipotesi che sia stato il marito a spingerla nel vuoto come raccontarono nelle testimonianze i loro bambini
Di Laura Tonero
Lasorte Trieste 02/08/06 - Via Puschi 17 - Tentato Omicidio
Lasorte Trieste 02/08/06 - Via Puschi 17 - Tentato Omicidio

Un vecchio caso è in procinto di essere riaperto. Una brutta storia famigliare archiviata come un tentato suicidio potrebbe riservare un colpo di scena. L’inchiesta riparte dopo che il 6 febbraio scorso la Corte d’Appello di Trieste ha confermato la precedente sentenza del Gup assolvendo Marina Vasic, 44 anni, dall’accusa di calunnia perché il fatto non sussiste. Ecco la storia. Il 1 agosto del 2006 la donna fece un volo di 15 metri dal balcone del terzo piano di stabile di via dei Puschi 17, nel rione di Valmaura. Soccorsa dagli uomini del 118 e dagli investigatori della Mobile affermò: «Mi ha buttato mio marito...« Ma l’uomo, Mile Vecerenovic oggi trentanovenne, venne prima arrestato per tentato omicidio e poi scarcerato grazie alla testimonianza di un pensionato. Da qui il rinvio a giudizio e il processo della donna per calunnia, chiesti e ottenuti dal pm Federico Frezza. Un anno e sei mesi col beneficio della condizionale, la condanna.

Ora però quelle accuse non trovano più fondamento, sono state cancellate e la testimonianza dell’anziano vicino di casa che sei giorni dopo si presentò per dichiarare di non aver visto il marito, un muratore serbo, dietro alla moglie mentre la donna volava dal terzo piano, rivelano delle crepe. «Dunque, - valuta Sergio Mameli, legale della Vasic – se la mia assistita non ha calunniato e se la testimonianza-chiave viene messa in dubbio cosa è successo realmente quel giorno?. Il caso va riaperto per tentato uxoricidio». E a questo punto, ci sarebbero inoltre atri aspetti che andrebbero presi nuovamente in considerazione. Come le frasi pronunciate da uno dei due figli della coppia, allora di tre anni e mezzo di età, agli agenti di polizia e all’infermiera dell’ospedale infantile Burlo Garofolo arrivata in aiuto dei due bambini mentre la madre veniva trasportata in ospedale e il padre in carcere. L’agente della squadra Mobile intervenuto quel giorno in via dei Puschi, nell’annotazione inerente il processo penale, scrive che «durante le ore trascorse in compagnia dei due bambini, il più grande dei due, interrompeva spesso i giochi dicendo: «Papà buttato mamma … mamma giù, mamma papà litigato». Mentre i bambini venivano distratti nella loro cameretta “il bimbo tentava più volte di alzarsi in piedi sul letto – si legge nel rapporto del poliziotto – per poter vedere dalla finestra e dicendo “mamma giù”. Un dettaglio che conferma che quel bimbo alla scena aveva assistito. Un ulteriore conferma arrivò anche dall’infermiera del Burlo che interrogata riferiva: «Le parole che ricordo ripetute più volte soprattutto nelle prime ore di accoglimento – dichiarò il 9 agosto del 2006 – sono “papà mamma finestra giù”. «Non è stato dato il giusto peso a queste frasi dei figli, – valuta Mameli - e nemmeno alla testimonianza dell’inquilino che viveva nel piano sotto alla coppia e che allora aveva riferito di aver udito il litigio dei coniugi e di aver colto che la lite si era spostata sul terrazzino e la donna invocare aiuto». «Sono innocente, non è vero, si è buttata da sola al termine di un litigio...», aveva invece sempre sostenuto il muratore serbo. Il difensore dell’uomo, l’avvocato William Crivellari, aveva scovato un teste oculare, lo aveva portato davanti al pm Federico Frezza perché raccontasse cosa aveva visto. «La donna si è buttata, senza il minimo intervento esterno», aveva affermato solo sei giorni dopo l’episodio il pensionato-testimone. E Mile Vecerenovic dopo un anno dall’inizio delle indagini era uscito a testa alta dall’inchiesta che era stata archiviata. così era stato. Ma ora il caso potrebbe riservare un nuovo colpo di scena.

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