Documenti e identità fasulli per comprare l’auto: in cella

Un triestino aveva esibito patente, tessera sanitaria e busta paga create ad hoc con il nome di un altro. L’aveva già fatto molte volte. Scoperto dal pm Frezza
Lasorte Trieste 20/07/10 - Foro Ulpiano, Tribunale
Lasorte Trieste 20/07/10 - Foro Ulpiano, Tribunale

Una patente di guida, una tessera sanitaria e anche una busta paga. Perfettamente riprodotte. Già, perché in realtà erano tutte false. Questi documenti truffaldini sono stati esibiti nel novembre scorso davanti al personale della concessionaria Toyota Futurauto da un uomo che si è spacciato per essere un’altra persona, peraltro realmente esistente: ha condotto l’intera procedura per l’acquisto di un’auto, una Yaris, sino ad apporre la firma - falsa anche quella - sul contratto di finanziamento. Poi se n’è andato, in attesa di ritornare al punto vendita quando contattato per il ritiro del mezzo.

Sulla patente creata ad arte erano state piazzate una sua foto e le generalità altrui, il tutto completato da altri dati inesistenti: il numero della patente e anche un falso contrassegno di cambio di residenza. Un’operazione studiata nei minimi dettagli e realizzata con una certa abilità. Ma il “falsario professionista”, con un lungo curriculum di reati anche di questo tipo commessi dal 1993 in poi, è stato smascherato e infine fermato pochi giorni fa a Cremona: si tratta di Sergio Bottan, triestino del 1958. Bloccato dalla polizia in esecuzione della misura di custodia cautelare in carcere disposta dal gip Laura Barresi, che ha accolto la richiesta del pm Federico Frezza, titolare dell’indagine. A risalire a Bottan come protagonista dell’opera di falsificazione sono stati gli agenti del Commissariato-Polo di San Sabba, coordinati dal sostituto procuratore. L’inchiesta era scattata a seguito della denuncia presentata dalla persona che si era vista sottrarre l’identità da Bottan, dopo che la stessa era stata contatta dal concessionario ed era caduta dalle nuvole in merito all’acquisto del veicolo, perché ovviamente ignara di quanto successo alle sue spalle.

Bottan si trova ora nel carcere di Cremona. Nel dicembre 2012, un mese dopo la messa in scena dell’uomo al punto vendita triestino di automobili, il pm Frezza aveva incaricato la polizia di effettuare una perquisizione nella casa dove Bottan stava in quel periodo a Trieste. Nell’occasione, erano emersi svariati dettagli a testimonianza di un’attività consolidata da parte sua: gli agenti avevano individuato lì, infatti, ben cinque carte d’identità false (tutte recanti le generalità di altre persone realmente esistenti) sulle quali erano stati anche stampati in maniera fittizia i riferimenti al rilascio da parte dei Comuni (nel dettaglio le amministrazioni di Treviso, Desenzano sul Garda, Pordenone, Volpago del Montello e Vicenza, che in realtà mai avevano stampato quei documenti). Ed erano stati trovati dai poliziotti pure più di una decina di altre carte d’identità, mai rilasciate dai vari Municipi e su cui mancava solo la fotografia, e infine una ventina di falsi tesserini attributivi del codice fiscale. Così composto il quadro probatorio, il pm Frezza - ritenendo certa la reiterazione dei reati da parte di Bottan - ha chiesto la misura cautelare. Che il Gip Barresi ha disposto. Gli inquirenti sono riusciti infine a individuare l’uomo in Lombardia, bloccandolo a Cremona e portandolo in carcere. Le accuse a carico del cinquantacinquenne sono di falsità materiale (per aver falsificato o fatto falsificare la patente e la tessera sanitaria esibiti alla concessionaria), sostituzione di persona, falsità in scrittura privata (con la sottoscrizione del contratto di finanziamento) e di possesso e fabbricazione di documenti falsi.

Come accennato, Sergio Bottan non è un nome che suona nuovo alle forze dell’ordine. La sua fedina penale si apre infatti nel 1993 e prosegue con tutta una serie di episodi e condanne varie anche per ricettazione, uso illecito di carte di credito, truffa e falsificazione di documenti. L’ultima condanna a suo carico, a due anni e tre mesi, nel giugno 2011, con sentenza della Corte d’Appello di Brescia.

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