Disputa confinaria Slovenia-Croazia, l’Europa decide di chiamarsi fuori

La Corte di giustizia sottolinea di non avere giurisdizione e invita i due Paesi a trovare una soluzione
Andrej Plenković
Andrej Plenković

BELGRADO. Un altro smacco, com’era nelle attese, per la Slovenia. E un ulteriore inciampo nel più che accidentato percorso di risoluzione di una questione complessa e controversa, quella della disputa sul confine marittimo tra Croazia e Slovenia. È questa la risultanza della deliberazione della Corte di giustizia dell’Unione europea, che ieri ha deciso di non decidere sulla questione, accogliendo dunque il suggerimento espresso lo scorso dicembre dall’Avvocato generale, Priit Pikamae.

La Corte «non ha giurisdizione nel contenzioso confinario tra Slovenia e Croazia», una questione privata da risolvere a quattr’occhi, ha informato il Tribunale europeo con sede al Lussemburgo, che era stato chiamato in causa da Lubiana nel 2018.

Lubiana – lo ricordiamo - aveva denunciato di fronte alla Corte Ue l’inazione di Zagabria, colpevole di essersi rifiutata di applicare la sentenza di arbitrato sul confine, pronunciata nel 2017 dalla Corte permanente d’arbitrato, che assegnava alla Slovenia circa i tre quarti della Baia di Pirano. Anche per questa ragione, la Croazia sarebbe stata colpevole di violazione del diritto europeo e internazionale, secondo Lubiana.

Da parte sua, Zagabria – che sperava che la sentenza del 2017 portasse la linea di confine marittimo nel mezzo della Baia - sostiene invece da sempre che il verdetto del Tribunale permanente di arbitrato dell’Aja sarebbe stato nullo, perché raggiunto dopo presunte indebite pressioni slovene. Successivamente, la Croazia a più riprese ha comunque invitato i vicini sloveni a tornare al tavolo negoziale, una prospettiva sempre sdegnosamente rigettata da Lubiana.

Tra i due litiganti la Corte di giustizia Ue ha però deciso di lavarsene le mani, non entrando nel merito proprio per carenza di giurisdizione. Ma ha lanciato al contempo un monito-appello forte: le due parti, come stabiliscono i trattati Ue, sono obbligate a impegnarsi «sinceramente a trovare alla disputa una soluzione legale definitiva, rispettosa del diritto internazionale», l'unica via rimasta, hanno messo nero su bianco i giudici.

Difficile immaginare che tutto questo accada molto presto, mentre si prospetta lo scenario di una “guerra” confinaria congelata, che si protrarrebbe per anni, forse decenni. Lo confermano le prese di posizione arrivate ieri subito dopo la decisione della Corte. Da una parte Zagabria ha immediatamente parlato di trionfo, di una «vittoria degli argomenti croati», come ha twittato il premier Andrej Plenković, che poi si è rivolto «ancora una volta alla Slovenia» affinché accetti «il dialogo e negoziati bilaterali per arrivare a una mutuamente accettabile e duratura soluzione alla contesa confinaria».

Dall’altra parte c’è Lubiana, che non fa marcia indietro rispetto alla richiesta di piena applicazione della sentenza d’arbitrato del 2017. «La Slovenia va avanti!», ha twittato il ministro degli Esteri sloveno, Miro Cerar. La Corte Ue ha sì dichiarato inammissibile la causa croata per «mancanza di giurisdizione», ma ha comunque stabilito che le due parti in conflitto «devono fare i passi necessari per rispettare l’arbitrato», ha assicurato Cerar.

E nuovi negoziati, come quelli suggeriti da Zagabria? «La Corte – ha continuato Cerar – ha notato che il confine è stato determinato dall’arbitrato. Chiediamo ancora una volta alla Croazia di implementare» la decisione del 2017. E per Lubiana «negoziati bilaterali o altre acrobazie giuridiche sono del tutto inaccettabili», la chiosa di Cerar.

A Lubiana lo smacco potrebbe avere anche conseguenze politiche, favorendo magari la riconquista del potere di Janez Janša, oggi leader dell’opposizione. Il quale ha accusato i precedenti due governi Cerar e Šarec di aver «sprecato i soldi dei contribuenti». Per una causa forse persa in partenza. 


 

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