Dischi volanti, spettri e tesori introvabili Le tessere del puzzle della Trieste nascosta

il caso
Oggetti volanti non identificati che solcano il cielo, fantasmi in cerca di pace che vagano all’interno di castelli e lungo le strade, arcane stanze sotterranee che furono teatro di atroci sofferenze, ingenti e introvabili tesori sui quali grava una sinistra maledizione: come molte altre città, anche Trieste può vantare il suo curioso elenco di fenomeni inspiegabili e luoghi carichi di misteri degni della serie televisiva X-Files.
Voci e suggestioni che appassionano e dividono, ma che rimangono comunque nell’immaginario collettivo proprio perché (apparentemente) inspiegabili. Proprio come uno dei più famosi avvistamenti di Ufo, cioè un oggetto volante non identificato, che avvenne a Trieste l’8 giugno del 1972 e che ebbe come protagonista l’allora undicenne Paolo Cernic, testimone di questo insolito evento sopra i cieli di San Giacomo.
Quel giorno, tornando a casa da scuola, l’attenzione di Cernic venne attirata da uno strano ronzio: alzati gli occhi al cielo il ragazzo scorse un curioso velivolo nero dalla forma rotonda.
Corso a casa, Cernic non perse tempo e, armato di macchina fotografica, immortalò quell’oggetto prima che questo scomparisse rapidamente.
Fatto sviluppare il rullino, il ragazzo si trovò tra le mani due immagini incredibili che negli anni hanno suscitato discussioni sulla loro veridicità.
Come ogni mistero che si rispetti, infatti, anche quello dell’“ufo di San Giacomo” rimane un enigma senza risposta come i circa cinquanta oggetti volanti non identificati (o presunti tali) che dagli anni ’50 ad oggi hanno sorvolato i cieli di Trieste.
Non bisogna guardare in cielo, bensì sottoterra per incontrare un altro dei misteri alabardati, la cosiddetta “camera rossa”, un oscuro locale presente nei sotterranei della chiesa di Santa Maria Maggiore attorno alla quale aleggia un alone di terrore.
Sembra infatti che questo angusto e tetro locale abbia ospitato i processi della temibile (e poco incline al dialogo) Inquisizione. Chi visitò i sotterranei e la stanza nella seconda metà del diciannovesimo secolo descrisse «fori che lasciano supporre arbitri, soprusi e violenza».
Anche i nomi attribuiti ai diversi locali attigui non promettevano nulla di buono: accanto alla camera rossa, infatti, venivano citati la “torre del silenzio” e il “pozzo delle anime”.
Come per tutti i misteri, anche per la camera rossa poco importa che studi abbiano messo in serio dubbio il suo utilizzo da parte dell’Inquisizione: la leggenda della terribile sala è passata indenne attraverso i secoli, tanto che anche il detective dell’impossibile, Martin Mystere, se ne è occupato in un fumetto del 1993.
Ma una città misteriosa non è tale se non annovera tra i suoi arcani almeno un fantasma: poteva quindi Trieste esimersi da tutto questo? Assolutamente no, ed ecco quindi comparire il fantasma di Massimiliano d’Asburgo che si aggira nel parco del Castello di Miramare intento ad ammirare le molte specie di piante che fece arrivare qui da tutto il mondo.
Sembrerebbe comunque uno spirito piuttosto mite, assolutamente non pericoloso, forse solo un po’ arrabbiato e deluso dall’attuale situazione non certo idilliaca del parco.
Ma se la presenza bonaria di Massimiliano non incute timore, ben peggiore è la sinistra leggenda legata al Castello di Miramare: come riportato anche da AnnaMaria Ghedina nel volume Guida ai fantasmi d’Italia (Odoya Editore) non è infatti consigliato (oltre che praticamente impossibile) passare una notte al suo interno se non si vuole rischiare di attirare a sé la maledizione e finire i propri giorni lontano dalla propria patria.
Trieste può però vantare anche fantasmi nelle sue strade più antiche, in città: sembra infatti che nella zona di Cavana, e più precisamente in piazzetta Santa Lucia, si aggirasse un’inquietante (non potrebbe essere altrimenti) donna vestita di nero con un vistoso colletto bianco.
La spettrale figura era solita presentarsi nottetempo a casa di una non meglio precisata signora, dirigersi verso la camera da letto e inginocchiarsi per recitare il rosario.
La tetra compagna di preghiere sarebbe improvvisamente scomparsa dopo il ritrovamento di alcuni resti umani e la loro successiva e degna sepoltura.
Ma il condizionale è d’obbligo: con i fantasmi non si sa mai, meglio non scherzare.
Così come non si scherza con i tesori nascosti, stando a quanto si racconta attorno a Villa Necker, sontuosa dimora sita in quella che un tempo era denominata contrada Santi Martiri e che oggi si chiama invece via dell’Università.
Si racconta che nei suoi sotterranei fosse celato un mirabolante tesoro frutto delle scorribande delle truppe francesi a Trieste.
Nessuno però, ovviamente, riusciva a trovarlo e nemmeno il guardiano della villa sembrava aver idea di dove potesse trovarsi fino a quando un giorno un misterioso (come d’obbligo) personaggio non gli si avvicinò per svelargli un terribile segreto: per ritrovare quel fantomatico tesoro era necessario spruzzare sangue di una vergine al centro della cantina.
In cambio di questo bislacco segreto, l’uomo disse che si sarebbe accontentato di metà delle ricchezze rinvenute. Accecato dalla bramosia, il guardiano attirò una giovane in cantina, ma prima di compiere il tragico rituale venne fermato dalle guardie messe preventivamente in allarme dalla giovane.
Processato e condannato, il guardiano scomparve dalla scena, ma questo non mise fine al mistero.
Pochi giorni dopo la conclusione del processo, infatti, nella cantina di Villa Necker venne ritrovato un cadavere che venne identificato come uno dei giudici. –
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