Discarica allo Scalo Legnami: tutti assolti

Imprenditori e artigiani erano accusati di aver scaricato rifiuti speciali falsificando le carte
sterle trieste 29 01 08 area futura sede del district park
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 Una costosa bolla di sapone.

Questo si è rivelata per la stragrande maggioranza degli indagati l’inchiesta del pm Maddalena Chergia sullo smaltimento di rifiuti “speciali” nella maxi discarica dello Scalo legnami, abilitata ad accogliere e riciclare solo rifiuti non pericolosi, provenienti da scavi e demolizioni. «La contestazione mossa non è procedibile perché a seguito delle indagini svolte non sono emerse responsabilità», aveva scritto il pm Maddalena Chergia nella richiesta di archiviazione parziale presentata alla cancelleria del gip nel gennaio del 2010. Ieri il giudice Paolo Vascotto ha messo la parola fine assolvendo Diego Romanese e Cataldo Marinaro, titolari all’epoca della Isp Riciclati di Monfalcone. Ma anche Mario Leone, Damano Purger, Paolo Rosso, Demmi Avanzi, Paolo Marinig, Enrico Tiberio, Sebastiano Pugliafito, Cataldo Marinaro, Livio De Carli e Igor Comari. Erano difesi da una nutrita schiera di avvocati: Nereo Battello, Antonio Florean, Riccardo Cattarini, Alessandro Carbone, Andrea Frassini, Sergio Mameli, Luca Maria Ferrucci, Luigi Genovese e Alessandro Cuccagna.

Nell’inchiesta è stato coinvolto anche l’imprenditore edile Raffaele Bruno. Nell’ottobre del 2010 è uscito indenne versando allo Stato un assegno circolare di 13 mila euro. Era accusato di aver trasportato in una discarica non autorizzata l'asfalto rimosso dalla pavimentazione delle rive di Trieste prima di avviarne il rifacimento su incarico del Comune. L'avvocato Riccardo Seibold aveva chiesto che il costruttore fosse ammesso all'oblazione come prevede la legge e l’allora presidente del gip Raffaele Morvay aveva accolto l'istanza. Così il reato è stato dichiarato estinto.

I fatti risalgono al 2007. A denunciare quello che era stato definito uno scempio ambientale e che aveva riguardato un'area delle dimensioni di quattro campi di calcio, erano state le bollette di trasporto dei rifiuti che gli investigatori della Guardia di finanza e della Forestale avevano sequestrato nel corso delle indagini. Documenti che venivano di volta in volta compilati indicando che si trattava di rifiuti speciali e che poi, una volta giunti a destinazione, secondo le ipotesi d’accusa venivano corretti «degradandoli» a normali detriti di scavo, semplici materiali inerti. Un semplice “trucco” con penna e bianchetto che è consistito nella sostituzione di un numero di codice. In pratica dal centro città in pochi chilometri i rifiuti bituminosi cambiavano «targa» e diventavano calcinacci. Ma in realtà il processo ha dimostrato che non si era trattato di correzioni. Piuttosto di adeguamenti a normative che cambiavano con ritmi vorticosi. Insomma, nessun inquinamento, nessuno scempio. Tutti assolti. (c.b.)

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