Dipiazza: leggi razziali fasciste, sfregio per la città
Dipiazza dà un taglio a ogni incomprensione passata. Schifani alla Risiera con la stella di Davide. «Risparmiare all’umanità altre tragedie come quella della Shoah»
Renato Schifani con la stella di David
TRIESTE
. «Finalmente!». I due ex deportati sembrano quasi riprendere colore, nella gelida mattinata della Risiera, al cui interno si sta celebrando il Giorno della Memoria. Dal palco, dove campeggia il presidente del Senato Schifani con tanto di stella di Davide sul petto, il sindaco Dipiazza ha appena dato un taglio netto a certe incomprensioni del recente passato (come la mancata civica benemerenza allo scrittore Boris Pahor, il quale voleva fosse inserita la parola ”fascismo” nelle motivazioni) arrivando alfine a un ricordo e a una ricostruzione storica della Shoah che adesso può essere condivisa realmente da tutti. Dice: «Trieste è stata, suo malgrado, testimone diretta di quella svolta di cui si fece interprete lo Stato fascista attraverso la promulgazione delle leggi razziali, annunciate nel ’38 in piazza dell’Unità d’Italia da Mussolini. Fu quello per Trieste un vergognoso sfregio che ferì nel profondo la sua storia, che la mutilò nella sua stessa natura di città aperta, multireligiosa e dinamicamente improntata verso un’idealità europea».
È il momento clou di una giornata guastata dal freddo siberiano, che ha tenuto lontano dall’ex campo di sterminio soprattutto i più anziani, anche se non ha impedito a una volonterosa comitiva di studenti di Diamante, vicino a Cosenza, di essere presenti assieme al loro sindaco, alla pari dei loro omologhi triestini del ”Carducci”. Nell’ormai classico rituale della cerimonia, uguale ma sempre diverso a seconda di come cambia il cerimoniale, quello che non muta mai è il senso di sgomento che si prova di fronte all’epicità della tragedia. Se ne fa testimone il sindaco di Monrupino, Marko Pisani, che nel suo discorso in italiano e sloveno parla del «senso di smarrimento» che si prova di fronte alla Shoah, e se ne farà ancora più efficacamente interprete Schifani, con un discorso appassionato nel quale ricorda che la visita della risiera di San Sabba dovrebbe essere «un obbligo morale», meta di un pellegrinaggio e di un cammino di formazione civile di tutti i giovani, di tutti gli italiani «per comprendere meglio cosa ha significato per i deportati la perdita di identità, lo smarrimento, le violenze, la morte».
«Siamo invitati a coltivare il dovere della preghiera e la responsabilità della memoria affinché nel futuro siano risparmiate all'umanità simili tragedie» aggiunge di suo, nella preghiera, il vescovo di Trieste, mons. Giampaolo Crepaldi, mentre il Rabbino di Trieste, Itzhak David Margalit, ringrazia «soprattutto tutti gli italiani che aiutarono gli ebrei durante le persecuzioni», ma ha anche parole di apprezzamento per gli interventi di Schifani e Dipiazza. Il momento religioso delle cerimonia viene quindi chiuso dell'arciprete serbo ortodosso Rasko Radovic, mentre manca l’archimandrita grego ortodosso, malato.
Tra la folla, nella distesa dei labari decorati, mentre il microfono diffonde le testimonianze dei deportati lette da due giovani direttamente dai diari, fa spicco lo sguardo degli studenti. Perso, un po’ smarrito, quasi perduto. E non è il freddo.
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