Dio? Oggi abita i computer

Giuseppe O. Longo, teorico dell’informazione, e il teologo Andrea Vaccaro, dialogano nel libro “Bit Bang. La nascita della filosofia digitale”
Silvano Trieste 29/09/2012 Teatro Verdi, Scienza e letteratura, Magris Claudio, Longo Giuseppe O.
Silvano Trieste 29/09/2012 Teatro Verdi, Scienza e letteratura, Magris Claudio, Longo Giuseppe O.

A prescindere dalla sua esistenza, una cosa è certa: Dio si adegua all’epoca come una camicia alla moda. Perché non è vero che Dio è morto, sarebbe una realtà troppo impegnativa, soprattutto se parliamo di caso e casualità rispetto all’universo. Chi se la sente di rinunciare al libero arbitrio? Impossibile. Comunque sia Dio è un geniale camaleonte, dall’epica immagine della Cappella Sistina si trasforma in una realtà ben più “discreta”, quella dei quanti o dei quark, insomma quelle “unità discrete” con cui si misura l’universo. Nel terzo millennio Dio è fisica e matematica, altroché poesia. L’ente supremo non ha alcuna intenzione di darla vinta a Dawkins. O a Darwin per parlare più chiaro.

C’è chi dice addirittura che Dio sia un programmatore. Al di là della battuta che potrebbe essere serenamente attribuita a Woody Allen, pare proprio che sia così. Ce lo spiegano Giuseppe O. Longo e Andrea Vaccaro nel libro “Bit Bang. La nascita della filosofia digitale” (Maggioli Editore, pagg. 217, euro 18).

Così è che uno dei maggiori teorici dell’informazione e un filosofo teologo ci suggeriscono un ulteriore imprinting divino e Dio prende forma nell’idea di “informazione”. Che poi tanto teorico non è. Almeno se travasiamo il concetto in formule un po’ più concrete come quelle di “computazione”, “algoritmo”, “bit”, “automa cellulare” e, appunto, “informazione”. La filosofia digitale ha a che fare con questo vocabolario, diffuso nelle varie discipline – dall’informatica alla matematica applicata – e sintetizzato in una dottrina relativamente nuova che affonda radici dai presocratici a Leibniz (ricordate la monade?) fino a Zuse, Wheeler, Wolfram, Fredkin e molti altri.

Ma il vero fondatore di tale impianto è soprattutto uno: il computer. Senza il computer non avremmo mai concepito o letto tutta la realtà come un sistema o una tramatura di informazioni, quel modello culturale “a rete” che sta alla base di questa nuova filosofia. È finito il tempo in cui si considerava l’universo secondo teorie della continuità ed è arrivato il momento in cui è possibile interpretarlo come “informazione” e ciò implica a monte che l’informazione non rimandi ad altro da se stessa, ma sia essa stessa la propria origine e il proprio principio. Una dimensione simile a quella di Democrito e Lucrezio, una realtà fatta di atomi, discontinua, insomma l’universo come composto di elementi discreti. “Discreta” è una realtà concepita per elementi, atomi, particelle che danno vita a illimitate combinazioni. Non più un esistente concepito come continuum. Non più una realtà che si presenta come unico blocco, bensì il frutto di combinazioni infinite. Succede quindi che il “bit” sia l’erede di una concezione discreta, ovvero discontinua: il bit sta alla base dell’informazione e a questo punto della realtà stessa.

L’informazione non si occupa più di spiegare la realtà ma la costituisce. Così come il computer non serve più a interpretare la realtà ma a idearla; e i computer funzionano per bit, per combinazioni illimitate di bit. Quello che a questo punto ci viene richiesto è sfrondare tutte le combinazioni possibili per scegliere le più adatte e le più efficaci. L’informazione non è solo un principio esplicativo ma una vera e propria arché ontologica. In fondo, pare suggerirci questo “Bit Bang”, anche il linguaggio della natura coincide con il linguaggio del bit come a sua volta la natura è retta da combinazioni di elementi discontinui. Basta un passo per ritrovarci dalle stesse parti della formula del dna. Intervenire sulle informazioni del codice genetico è lo stesso che intervenire sulla natura. Pure lei è fatta di informazioni genetiche, un linguaggio al pari del linguaggio digitale.

Insomma, diceva Gregory Chaitin: «L’Universo è scritto in un linguaggio informatico e il suoi caratteri sono i bit». Metafisiche digitali, iperurani di idee algoritmiche, il manuale di Longo-Vaccaro traccia la storia della nuova filosofia, sostenuta da nomi altisonanti, non solo scienziati ma pure i grandi filosofi ossessionati dalla Legge del Tutto, cioè sempre da lui, Dio. Una sorta di Primo Motore, che ha sostituito lo spot “In principio era il Verbo” con il più pop: “Pensa digitale”.

A tal proposito Frednik riesce pure a sviluppare l’anima da una prospettiva digitale con seducenti connessioni tra appunto “anima” e “informazione”. Tanto che, conclude, «se comprendessimo come funziona il computer con l’informazione, saremmo sul punto di comprendere come funzioni l’anima e cosa essa sia».

L’ultima sezione del libro prevede una nutrita conversazione tra Vaccaro e Longo, una riflessione ulteriore sui fondamenti etici ed estetici della nuova disciplina, la filosofia digitale che, come afferma Giuseppe O. Longo, è la scienza più recente di una lunga serie di tentativi per individuare il “codice cosmico”. Un’unica osservazione.

Il lettore un po’ più smaliziato potrebbe chiedersi come mai non ricorda nessun riferimento, nel bene o nel male, a Spinoza: il filosofo per il quale Dio e la Natura coincidevano. Poi scorrendo l’indice dei nomi ecco la risposta: perché non c’è.

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