Dimezza il peso di 155 chili e completa l’ultramaratona

La storia di Daniele Donato, triestino di 52 anni operato a Monfalcone «Un giorno ho detto basta e sono riuscito a vincere una battaglia mentale»

Dimezza il peso e completa l'ultramaratona: "Così ho vinto la mia battaglia mentale"

TRIESTE Sottoposto a un intervento chirurgico di bypass gastrico in Chirurgia bariatrica al San Polo Monfalcone, a 145 chili e mezzo, ha acquistato il suo peso forma, 86 chili, riuscendo a completare l’ultramaratona del Passatore. Cento chilometri da Firenze fino a Faenza, affrontando gli Appennini. Il tutto preceduto dagli allenamenti: tre maratone da 42, 60 e 57 chilometri.

Per gli appassionati maratoneti la più importante competitiva italiana rappresenta una sorta di “Santo Graal”. Per lui, classificatosi 1240mo con un tempo di 14 ore, 14 minuti e 7 secondi, è stato un battesimo da incorniciare. Mica uno scherzo. L’arrivo, immortalato alle 5.14 dalla moglie, ha rappresentato una vittoria con se stesso. La testa, il fisico e l’animo che hanno trovato la sintonia.

Quando Daniele Donato, 52 anni, triestino che di Padova ha solo il luogo di nascita sui documenti, ha tagliato quel traguardo impossibile, lo scorso 27 maggio, è come se fosse tornato bambino. Ai suoi 9 anni, davanti alla tivù che in bianco e nero proiettava le immagini del Passatore. Ne era rimasto rapito. Aveva sognato di trovarsi tra quegli atleti.

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Un sogno che non ha mai abbandonato, anche quando diventato adulto i chili avevano avuto il sopravvento. Daniele di chili ne è arrivato a pesare 155. Sposato con Gaia Monteleone, 44 anni, due figlie, Maya di 14 anni ed Emma 10 anni appena compiuti, allora lavorava all’ospedale di San Polo, manutentore di grandi impianti alle dipendenze di una ditta esterna, attività che tuttora ricopre a Trieste, per conto di un’altra impresa. La sua vita è stata un incrociarsi di alti e bassi. Le analisi ormonali, le diete, le visite mediche e quanto ha voluto comunque affrontare che prima illudono e poi ricacciano nella dura realtà. «Sono sofismi, giustificazioni con se stessi – dice serafico –. Non si dimagrisce con la bacchetta magica».

Fedele al suo sogno aveva provato a mettersi le scarpe da ginnastica ai piedi. La sua prima maratona completata lo ha premiato con una scoperta, la consapevolezza che volere è non gettare la spugna. E soprattutto che il sacrificio e la sofferenza, l’impegno e la pazienza è una filosofia vincente. Quella prima maratona l’aveva conclusa con tutti i suoi 120 chili. Una fatica estrema, certo, ma un segnale importante per chi, come lui, era abituato a sentire il suo corpo da obeso di terzo livello, come i medici gli avevano diagnosticato, «una coperta di Linus». Nonostante gli “effetti collaterali”, diventati anche patologie di una certa importanza. Daniele svuotava il frigo. Poi ne prendeva le distanze, ma alla fine ritornava sempre lì.

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Un giorno dentro di sè ha detto «basta». E mentre la moglie, anche lei alle prese con i chili di troppo, da tempo soppesava l’idea di affrontare un’operazione, lui a un certo punto della sua vita non ci ha pensato che due minuti. «Avevo deciso, mi volevo operare». Il 21 gennaio 2014 è stato sottoposto al bypass gastrico, la ricostruzione di un piccolo stomaco, una sacca, direttamente collegato all’intestino. Il mese dopo, è stata Gaia a sottoporsi all’intervento, di diversa tipologia. «È stato come darci un sostegno l’uno con l’altro», racconta Daniele. Non è stato così facile. L’operazione era riuscita, in undici mesi 60 chili non erano più nel suo corpo. Fiducioso è tornato a correre.

Ma poi sono sopraggiunte le complicazioni tardive. Nel tempo si sono susseguiti quattro interventi. «Ho affrontato tutto senza mollare. Intuivo che non sarebbe stato facile – osserva Daniele –. Era come se me la sentissi. Al San Polo hanno lavorato bene. Il primario Alessandro Balani mi ha seguito. È stata dura, ma ce l’ho fatta. Rimane la “battaglia mentale” nel rapporto con il cibo. Eppure questa sensibilità rappresenta un autocontrollo. C’è sempre una tensione, così non si abbassa la guardia per non ricadere nel meccanismo».

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