Dimenticati dallo Stato: ecco i morti di amianto che aspettano giustizia

Questi sono i volti degli ex operai del cantiere navale di Monfalcone morti a causa dell’amianto e che la giustizia ha dimenticato. Oggi, 15 febbraio 2015, sono esattamente 16 mesi dal pronunciamento della sentenza del primo maxi-processo per 87 vittime dell’amianto celebrato al Tribunale di Gorizia.
Era il 15 ottobre del 2013 quando il giudice Matteo Trotta, nell’aula dell’ex Corte d’Assise del Palazzo di giustizia di Gorizia, emetteva la condanna per omicidio e lesioni colpose a otto dei 37 imputati. Nell’ultima delle 12 pagine della sentenza veniva indicato “in giorni novanta il termine per il deposito della motivazione della sentenza”. Ma almeno fino a mercoledì scorso nulla è stato depositato. Di qui lo sgomento davanti a una pagina nera della giustizia italiana. Di qui la decisione di pubblicare le fotografie delle vittime dell’amianto per urlare l’indignazione di aver calpestato la memoria di questi ex lavoratori. Senza il deposito delle motivazioni il processo non può essere completato negli altri gradi di giudizio. I condannati non possono ricorrere per dimostrare la loro innocenza, e si corre il rischio della prescrizione che significherebbe che per la morte di queste persone non pagherà nessuno. Anche se va ricordato come puntualmente i giudici sostengono che «la prescrizione è un elemento di civiltà». Lanciamo dunque un appello ai parlamentari giuliani, isontini e friulani perché portino all’attenzione del Parlamento e del Governo questa vicenda incresciosa. Perché informino il Capo dello Stato che sarà a Gorizia il 21 marzo. Perché si possa sanare questa ferita che penetra dolorosamente su un territorio, il Monfalconese e non solo, già gravemente segnato dalla tragedia delle morti causate da amianto.
Poco prima di pronunciare la sentenza il giudice Matteo Trotta fu trasferito al Tribunale di Trieste per assumere la presidenza. La sentenza arrivò dopo quasi tre anni di dibattimento e dopo oltre novanta udienze. Il processo si sarebbe potuto concludere già nel maggio del 2013, ma nell’ultima udienza Trotta accolse la richiesta di uno dei difensori che eccepiva sull’assenza di condizioni di serenità all’interno dell’aula giudiziaria. Secondo il legale la presenza delle vedove e dei congiunti dei lavoratori morti avrebbe condizionato il giudizio. Trotta spedì il ricorso in Cassazione che fu ovviamente respinto. Sono stati persi anche in quella circostanza mesi preziosi.
Ed eccoci all’oggi. All’amara realtà di dover riaccendere i riflettori su una tragedia che, chissà perché, si tenta costantemente di derubricare. Alleati in questa battaglia dovrebbero essere le istituzioni e gli organismi del territorio: la Regione, la Provincia di Gorizia, il Comune di Monfalcone, la Fiom provinciale di Gorizia, l’Inail, l’Associazione esposti amianto e il Codacons che nel processo si erano costituiti parte civile percependo, nell’ordine, 250mila, 106mila, 75mila, 75mila, 250mila, 25mila e 7mila euro.

Già, ma chi erano questi lavoratori? Gli atti giudiziari riassumono la loro attività come dipendenti diretti del cantiere navale, salvo rare eccezioni. Tra le quali la signora Silvana Moraro, dipendente di una ditta addetta alla mensa, e la signora Silvana Giuriato, aggredita dall’amianto inalato nello spolverare la tuta da lavoro del marito Mario Bertogna, anch’esso deceduto. Nel cimitero di Ronchi dei Legionari tre vittime dell’amianto sono sepolte vicino, in fila indiana, perché deceduti a pochi mesi l’uno dall’altro: quasi un’esecuzione.
Questi lavoratori erano provetti artigiani: fabbrinave, falegnami, carpentieri, tubisti, tracciatori. Oggi rischia di essere letto come un atteggiamento patetico richiamare l’attaccamento al mestiere che avevano questi cantierini, orgogliosi di lavorare in uno stabilimento che è stato l’orgoglio e la linfa della Venezia Giulia. Cantiere, e qui sta l’ennesimo angosciante aspetto della vicenda, che dal 1933 (all’epoca si chiamava Crda) è di proprietà dello Stato, quello Stato che ha punito se stesso (i direttori e i dirigenti del cantiere) per aver consentito l’utilizzo dell’amianto quando già si sapeva della pericolosità del materiale; quello Stato che dispensa giustizia con una mano e con l’altra la toglie.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo