Differenziata, meglio Napoli: mille “isole”, ma solo il 26%
La chiamano differenziata “spinta”. Ma di spinto non ha proprio nulla. Di osceno ci sono solo le percentuali ferme ancora al 26 per cento e lontane anni luce dal traguardo europeo del 65 per cento da raggiungere entro il 2012. La spinta propulsiva negli ultimi sei mesi, dopo il raddoppio delle isole ecologiche (passate da cinquecento a mille), è stata solo del 5 per cento.
L’incremento stimato era perlomeno il doppio (10 per cento). Persino Napoli, il che è tutto dire, è riuscita a fare di meglio con la ricetta “arancione” del sindaco Luigi De Magistris passando dal 16 per cento al 25 per cento con punte del 70 per cento in alcuni quartieri partenopei. «La scelta della differenziata spinta - insiste l’assessore all’Ambiente Umberto Laureni - non è modificabile. Non si torna indietro». Il problema è come andare avanti. Fabio Omero, l’assessore alle Aziende partecipate, preferisce non soffermarsi sulle percentuali. «La nostra - spiega - è una svolta culturale. Lo scopo di prima era solo quello di produrre energia elettrica. Mandare tutto all’inceneritore. L’immondizia usata per fare cassa».
Ma come arrivare al 65% chiesto dall’Europa in un solo anno? Il più ottimista è il vicepresidente della Provincia Igor Dolenc arrivato alla conferenza stampa in sostituzione dell’assessore Vittorio Zollia. «Con i cartoni dei negozi, il verde a domicilio e l’umido di ristoranti e mense non siamo così lontani dal traguardo europeo» assicura. Basta crederci. «Facciamo la differenza» era il titolo della prima campagna informativa di AcegasAps. Una richiesta rimasta indifferenziata.
I dati per ora parlano di un andamento lento. Non particolarmente spinto. Nell’ultimo semestre, grazie alla moltiplicazione delle isole ecologiche, la raccolta differenziata è salita: 696 tonnellate di carta (555 nel 2010), 406 tonnellate di vetro e lattine (286 nel 2010) e 174 tonnellate di plastica (124 nel 2010). «Su base annuale si tratta di circa 2mila tonnellate in meno conferite all’inceneritore» spiega Paolo Dal Maso, direttore della divisione Ambiente di AcegasAps.
Una cifra destinata a salire se i cittadini triestini («Che stanno rispondendo bene» secondo Omero) seguiranno l’amministrazione comunale sulla via della raccolta differenziata “spinta”. A metà gennaio partirà finalmente la campagna informativa tanto attesa («Siamo un po’ in ritardo» confessa Omero): sarà inviato a tutti i cittadini un depliant (bilingue per l’altipiano) con le istruzioni per la raccolta differenziata e probabilmente si darà il via alla raccolta a porta a porta dei cartoni ingombrati dei negozi e della rande distribuzione (che ora finiscono per saturare i contenitori della carta e non solo) e del tetrapak rimasto escluso dalle tipologie della differenziata triestina. Ci sarà anche un numero telefonico dedicato dell’AcegasAps a cui chiedere informazioni e segnalare disguidi e problemi. «Nonostante alcuni cittadini collaborino - spiega Del Maso - sono ancora molti quelli che abbandonano i rifiuti ingombranti a fianco dei cassonetti. Comportamenti che hanno un costo enorme. Eppure esiste da tempo una raccolta a domicilio gratuita».
E l’umido? I triestini possono dormire sonni asciutti. La differenziazione della parte umida delle “scovazze“ (pari al 25% del rifiuto urbano), che si fa da anni senza problemi a Pordenone, Udine e Gorizia, non è in calendario. Per ora. Incubo rimandato. Nella seconda metà del 2012 si avvierà una sperimentazione con i ristoranti e le mense cittadine e mercati all’ingrosso. E forse nel 2013, in relazione ai risultati ottenuti, l’umido verrà esteso ai cittadini. Il problema? «I costi di smaltimento del rifiuto umido» spiega Dal Maso. La carta, la plastica e il vetro, invece, si smaltiscono a costo zero o anche ottenendo qualche ricavo. «In provincia di Trieste non c’è un impianto di compostaggio e non c’è neppure un’agricoltura in grado di assorbire il compost prodotto» spiega il direttore Ambiente di AcegasAps.
Un mano potrebbe arrivare dalla crisi economica. La recessione. Oltre ad azzerare il Pil, produce anche meno rifiuti. Una magra consolazione di questi tempi. Ma tutto aiuta a fare “la differenza”. Quella che Trieste si ostina a non volere.
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