Dieci anni dopo tutto era in piedi, tranne le chiese
di MARCO BALLICO
Prima le fabbriche, poi le case, poi le chiese, disse monsignor Alfredo Battisti, il vescovo del terremoto. Non solo lo slogan della ricostruzione, «ma la pura verità, perché andò proprio così», racconta Ivano Benvenuti, allora sindaco di Gemona. Nel 1986, ricorda uno dei padri di quel formidabile decennio di rinascita del Friuli, «il 90% di quanto avevamo perso con le scosse di maggio e settembre lo avevamo messo nuovamente in piedi». Un'azione favorita e assecondata dalla legislazione. La ripartenza fu resa possibile già a fine maggio, poche settimane dopo il sisma, dalla conversione del decreto legge 227 nella legge 336 che conteneva i provvedimenti urgenti e la delega alla Regione per poter legiferare in maniera specifica. Come accadde, già nel 1976, con le leggi 17, 33 e 53 per la gestione dell'emergenza, la 28 per il ripristino dell'efficienza produttiva delle aziende industriali, artigiane, commerciali e turistiche e la 35 per la ripresa dell'agricoltura. A seguire, nel 1977, la legge regionale 30 per il recupero statico e funzionale degli edifici e la 63 per la ricostruzione delle zone colpite. Prima la «pulizia», come la chiama Benvenuti, e poi «l'inizio di un'opera di ricomposizione, pezzo per pezzo, pietra per pietra», supportata anche da un'altra norma nazionale, la 546 del 1977, con interventi diversificati nei comparti produttivi, nell'edilizia abitativa, nelle opere pubbliche, in quelle di culto. Operazione snella perché proprio il quadro legislativo consentì di fare riferimento ai normali strumenti di pianificazione urbanistica.
Non sorprende che i primi risultati si vedano in fretta. Nelle fabbriche, innanzitutto. Il terremoto aveva cancellato 18mila posti di lavoro, ma nel 1978 i livelli occupazionali nell'area sinistrata superano del 17% quelli precedenti al 6 maggio. «Già nella primavera del 1977 le persone erano rientrate nei paesi dopo qualche mese di esodo - prosegue l'ex sindaco di Gemona - e nel 1978 si è iniziato a riparare quanto il terremoto aveva distrutto, grazie alle risorse pubbliche ma con il contributo altrettanto importante dei privati. Nel 1985-86, quando la Regione, forte dell'esperienza maturata, getta le basi per una moderna ed efficiente struttura di protezione civile, il lavoro era sostanzialmente concluso, mancavano solo le chiese. Si sarebbe poi provveduto anche a quello, a Gemona come in tutti i paesi colpiti».
A raccontare con immagini, documenti, filmati e spazi interattivi quel periodo è il museo Tiere Motus di Venzone, curato dall'architetto Floriana Marino. Inaugurata nel 2009, disposta in 12 sale tematiche, la struttura ripercorre tra l'altro l'apporto dell'associazione nazionale alpini: 3.280 case riparate, 76 ristrutturate, 50 ricostruite, 63mila mq di tetti rimessi a posto.
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