Dieci anni dalla parte degli ultimi per aiutarli ad alzarsi e a farcela da soli

Casa Samaria, la struttura di San Martino al Campo in via Udine, taglia domani il traguardo. E apre le porte alla città 

TRIESTE È una nuvola di fumo di sigaretta quella che avvolge ogni sera il piccolo terrazzo di via Udine, al civico 19. Lì sta casa Samaria, luogo d’accoglienza per senzatetto gestito dalla San Martino al Campo, che affianca la struttura dello storico dormitorio, e che domani celebrerà il traguardo dei dieci anni. Un luogo dove, alla fine di ogni giornata, attorno al tavolo esterno, si ritrovano gli ospiti. Uomini senza fissa dimora che, tra un tiro di sigaretta e l’altra, si confidano segreti e speranze.

«Ti è mai capitato di pensare all’orlo oltre cui c’è solo il suicidio? Ecco, io avevo resistito a quell’orlo. Ero riuscito a ignorarlo», racconta Mubin (nome di fantasia), appoggiato allo stipite della finestra che si affaccia sul terrazzino, oltre il quale si sente correre il traffico di Trieste. Appassionato di scrittura, è nato in Egitto, anche se nella sua voce sembrano unirsi memorie di tanti luoghi diversi. «Ero una foglia al vento. Poi ho pensato che se fossi sopravvissuto, avrei potuto bere un bicchiere d’acqua in più. Avrei potuto gustarmi un panino in più. Chiamare mio figlio di nuovo, sentire una volta in più la sua voce».

Il suo racconto è interrotto dalla cena, che è alle 20 in punto. Ogni sera è preparata da un cuoco diverso, a seconda dei turni. E, ogni sera, si consuma nella vasta sala da soggiorno.

È in quello stesso spazio che domani, dalle 9 alle 20, avrà luogo l’Open day per festeggiare la storia lunga dieci annidi questa casa. L’evento, che rispetterà tutte le norme anti-Covid, sarà l’occasione per far conoscere questo giaciglio a chi ne sia incuriosito, oltre che la scusa per bere un caffè con gli ospiti che in passato hanno abitato tra le sue mura.

«Dieci anni fa abbiamo deciso di mettere a disposizione questo spazio per rispondere a una crescente richiesta di aiuto - spiega Davide Venier, uno dei responsabili della Comunità.- Un dormitorio con 25 posti era già stato aperto nel 2004. Tuttavia, ben presto avevamo compreso che quella misura non bastava. Nel 2009, poi, è stato il momento dell’apertura di un centro diurno».

Ma ancora non sembrava abbastanza per rispondere a un più alto obiettivo: proporre alle persone accolte non solo una soluzione che le salvasse dalla strada, ma dei percorsi finalizzati al loro reinserimento sociale. Così, con il sostegno della Fondazione Bambini del Danubio che ha messo a disposizione il grande appartamento, nel 2010 è arrivato il momento dell’apertura di casa Samaria, dove vivono da sempre un massimo di dieci uomini. «Volevamo fare un passaggio successivo, quindi offrire agli ospiti non solo un posto in cui dormire ma anche un percorso studiato per loro, perché potessero riprendere in mano la loro vita- conclude Davide.- Vogliamo toglierli dal circuito di povertà in cui sono caduti e fare in modo che, usciti da qui, non debbano più avere bisogno di noi».

Da quando il nastro è stato tagliato davanti alle porte di casa Samaria, oltre una sessantina di uomini senza fissa dimora hanno varcato la sua soglia. Sono tutti figli di storie diverse, tra chi voleva girare l’Europa, chi ha avuto un incidente, chi non riesce a dimenticare la sua amata e chi non vede l’ora di conoscere il nipote.

Una sigaretta dopo l’altra, le loro parole si accavallano. Tanto che non sempre è facile intuire il punto in cui finisce una storia e il momento in cui ne inizia un’altra. Come succede in tutte le case del mondo. —
 

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