Diario di bordo Il Belem è arrivato a Premuda

Secondo giorno di navigazione dello storico veliero salpato da Trieste e diretto verso la Dalmazia per poi tornare a Venezia

da bordo del Belem

SANSEGO. Come all'alba il groppo di bora nera ha obbligato a lasciare le cuccette prima ancora di riuscire a riscaldarle, così il golfo del Quarnaro ha atteso infido che si smontasse di guardia, proprio mentre la campana del pranzo emetteva il primo timido tocco, per annunciarsi in tutta la sua ventosa potenza. Sembra quasi che la vista di un veliero abbia risvegliato in queste gole aspre che danno sul mare quell'ancestrale voglia di spazzar via ogni legno umano. Una guerra che ha opposto per millenni i marinai a queste forze nere, repentine e violente.

Il groppo è stato avvistato prima come un'increspatura della superficie che poi è diventata nera e veloce, e quindi si è abbattuta mentre le prime voci della guardia avvertivano gli altri sottocoperta.

E dopo il primo groppo, altri e altri fino a formare un urlo continuo che ha aumentato il suo stridio tra il sartiame mano a mano che la burrasca si formava.

Mentre il fischio si accompagna allo stridere delle scotte e dei bozzelli messi a dura prova, tutto l'equipaggio comincia a sciamare sul ponte verso le scotte e le drizze mentre i gabbieri si arrampicano sulle griselle e poi sui cavi dei pennoni per serrare le vele sfidando la gravità a gran velocità e con una concentrazione totale e silente. Le mani sembrano attaccarsi ai cavi bendati in modo automatico mentre il vento e il rollio della bora al traverso li fanno sembrare tanti fuscelli sospesi nel vuoto.

Il mare ormai bianco sembra reclamarli, quasi a voler ristabilire un ordine naturale delle cose.

Ma la prua slanciata del Belem si lancia sulle onde con ancora maggiore gioia, quasi la nave ritrovasse nella attuale sfida il ricordi di quelle che ha già visto in Atlantico prima, quando copriva a gran velocità le tratte dal Sud America a Nantes con i suoi carichi di cacao e di rum, e nel Mediterraneo poi, con a bordo il futuro, rappresentato dai giovanissimi Marinaretti dell'Istituto Cini di Venezia.

Un'ora e mezza di lavoro duro per ridurre la velatura al minimo e continuare a sfidare vento e onde con le vele quadre terzarolate e i piccoli fiocchi di prua.

Timonieri a dura prova per tenere una rotta che appare improponibile mentre gli spruzzi arrivano alla chiesuola e li inzuppano. Gabbieri che scendono esausti e ridenti mentre gli altri marinai e gli ex Marinaretti sul ponte danno volta alle scotte ormai libere.

Il comandante Morzadec resta sul cassero, tranquillo della bravura dei suoi uomini ma senza perdere nemmeno una mossa, mentre timonieri e ufficiale di rotta lo aggiornano continuamente, chiedendo conferma.

Mano a mano che i terzi smontanti si tolgono i guanti e le cerate grondanti gli ex Marinaretti riprendono tranquilli a montare la loro stazione radio che si sono portati, pezzo a pezzo da casa. I vecchi radiotelegrafisti scartano i loro pezzi pregiati. Dagli apparecchi Morse che li hanno seguiti lungo i mari e i porti di tutto il mondo, da Shangai all'Antartide, viene stabilito un contatto radio e telegrafico con tutti gli altri ex Marinaretti sparsi ovunque, che possono così seguire, con una partecipazione che rasenta la trepidazione, l'avvicinamento del grande veliero Belem / Giorgio Cini a Venezia e a quell'isola di San Giorgio che loro continuano a considerare il "loro" porto anche se magari i casi della vita gli hanno portati a stabilirsi all'altro capo del mondo.

Una rotta di avvicinamento che per il momento vede questo bellissimo tre alberi davanti a Premuda con un vento infido e a raffica, che urla nelle orecchie. Ma che a loro sembra la più bella canzone del mondo.

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